In Svizzera, una ventina di regioni situate principalmente nelle Alpi, nelle Prealpi e nell’Arco del Giura detengono il marchio «Parchi svizzeri» e possono apporre il marchio «Prodotti dei parchi svizzeri» sui beni e sui servizi che offrono.
Per poter recare il «quadrato verde», i prodotti devono soddisfare una serie di criteri, il cui rispetto viene verificato nel quadro di una procedura di certificazione definita dalla Confederazione. Il prodotto in questione deve essere fabbricato o fornito essenzialmente all’interno del territorio del parco e il processo di produzione deve essere in linea con gli obiettivi del parco e rispettare le direttive dell’Associazione svizzera dei prodotti regionali.
In sintesi, il marchio deve garantire ai consumatori che i prodotti sono sostenibili e che provengono dalla regione. Secondo le ultime stime, il fatturato annuo generato da questi prodotti è di circa 30 milioni di franchi. Una parte dei ricavi passa dalla grande distribuzione, come i supermercati Coop. Per la maggior parte dei piccoli produttori il marchio non è però un mezzo per incrementare le entrate, ma piuttosto un modo per dare risalto alla qualità dei loro prodotti e per agire concretamente a favore dei valori regionali e della sostenibilità.
In Valle Verzasca ha preso il via nel 2019 la realizzazione dei progetti previsti dal masterplan «Verzasca 2030». Oltre all’organizzazione di un servizio di minibus, sono stati portati a termine il progetto «Vera Verzasca», volto a promuovere la commercializzazione di prodotti alimentari e artigianali locali, e il progetto «Albergo diffuso» a Corippo. La struttura ricettiva decentrata, che dispone di una reception e di 25 letti distribuiti in cinque case storiche restaurate, ha aperto i battenti a maggio 2022. A Brione è inoltre imminente l’inizio dei lavori di costruzione del nuovo campeggio alpino: sessanta piazzole, una zona wellness e bungalow per i clienti più esigenti. Per quanto riguarda infine il progetto di maggiore entità, l’edificazione di un centro sportivo multifunzionale a Sonogno, è in corso la definizione del business plan e il cantiere dovrebbe aprire nel 2024.
Star’Terre, una struttura nata da un’iniziativa intercantonale di Vaud, Ginevra, Friburgo e Vallese sostiene quattro progetti innovativi permettendo loro in particolare di attingere alle competenze settoriali di professionisti, accedere a una base di conoscenze e a strumenti specifici e appoggiarsi alla solida rete di attori all’intersezione tra agricoltura, imprenditoria, innovazione, formazione e ricerca, settori in cui Star’Terre si posiziona attivamente. Local Impact nasce dalla piattaforma digitale friburghese «Cuisinons notre région».
L’Ortie è un progetto di orticoltura biointensiva condivisa nel Cantone di Ginevra mentre Lupi Food riguarda lo sviluppo di una nuova filiera di produzione di proteine vegetali a base di lupini svizzeri. Il quarto progetto, lanciato dall’associazione Au-Potager che conta già tre antenne nel Canton Vaud, mette a disposizione orti «chiavi in mano» per praticare l’agricoltura contrattuale, intesa come nuovo modo di consumo alimentare. Il nome Star’Terre la dice lunga sulla missione e gli obiettivi di questa struttura, che vuole fungere da anello di congiunzione tra il mondo delle startup e quello dell’agricoltura.
Magali Estève, membro del gruppo di coordinamento, spiega che Star’Terre punta a far convergere gli ecosistemi agricolo, alimentare, dell’innovazione e dell’imprenditoria verso la tematica centrale del consumo locale. La dimensione locale si riferisce al territorio della «metropoli del Lemano» che comprende i Cantoni di Vaud, Ginevra, Friburgo e Vallese. Creata nel marzo 2020, Star’Terre è la continuazione di un progetto intercantonale realizzato tra il 2017 e il 2019 nell’ambito del programma pilota Aree d’intervento economia sviluppato dalla SECO. Il suo modello, che mette l’accento sui circuiti corti e sul ritorno di valore aggiunto per la regione, suscita già l’interesse di altre regioni della Svizzera.
Fine marzo, tempo di fioritura, anche per i ciliegi della fattoria della famiglia Meier a Rotkreuz (ZG). La coltivazione di ciliegie è un affare di famiglia iniziato dal padre dell’attuale titolare, nel pieno rispetto della tradizione della regione. Se Peter Meier può coltivare ciliegi ad alto fusto – che richiedono interventi e trattamenti onerosi – e produrre coprendo i costi, lo deve tra l’altro a un progetto di sviluppo regionale (PSR). I PSR sono promossi dall’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG) e mirano a promuovere la creazione di valore nell’agricoltura e la collaborazione regionale.
Il PSR «Zuger Rigi Chriesi», che interessa il Cantone di Zugo e la regione del Rigi, ha creato i presupposti per rivalorizzare il ciliegio nell’agricoltura. Nell’ambito del progetto sono stati piantati nuovi ciliegi ad alto fusto. Il lavoro principale è stato però quello di individuare canali di vendita per quantitativi consistenti sia nel commercio al dettaglio che nella ristorazione, avvalendosi di un marketing professionale. Le ciliegie prodotte nella regione possono così essere vendute dalla grande distribuzione e come ciliegie industriali, in un mercato fino a quel momento dominato dai prodotti importati a basso prezzo. Un successo: i coltivatori sono tornati a vendere più ciliegie a un prezzo pressoché doppio.
Tra il 2011 e il 2018 sono stati piantati oltre 2500 nuovi ciliegi ad alto fusto. Un modesto rimpiazzo per i quasi 70 000 alberi scomparsi nella seconda metà del 20° secolo. I ciliegi esaltano la bellezza del paesaggio e sono una fonte di nutrimento per le api, ma soprattutto forniscono frutti utilizzati nella fabbricazione di prodotti locali e tradizionali. Un esempio emblematico è la torta al kirsch (Zuger Kirschtorte), che dal 2008 figura nell’Inventario del patrimonio culinario della Svizzera e per la cui produzione possono essere utilizzate solo ciliegie locali. Le ciliegie hanno quindi un futuro assicurato!
Il paesaggio è la risorsa principale del Parco naturale regionale Gruyère Pays-d’Enhaut. Fornisce un contributo significativo alla qualità della vita e al miglioramento dell’ambiente nella regione, svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo regionale e permette la valorizzazione economica di prodotti regionali tradizionali come il Gruyère d’alpage DOP, l’Etivaz DOP e il Vacherin fribourgeois DOP. Anche tutte le attività turistiche sono direttamente legate alla qualità del paesaggio. I turisti sono attratti soprattutto dalle bellezze naturali e dal patrimonio culturale immateriale, costituito dalle tradizioni viventi che formano l’identità di queste regioni. L’impatto economico del parco nel periodo 2011– 2018 è stato stimato complessivamente a 25 milioni di franchi. Questa cifra include sia i benefici diretti e indiretti sia il ritorno di immagine. Per preservare e curare i paesaggi che lo contraddistinguono, il parco ha puntato principalmente sull’economia alpestre e sull’agricoltura, due settori che sostiene attivamente. Per selezionare, orientare e promuovere i suoi progetti, usa gli strumenti della politica del paesaggio. In particolare, ha realizzato iniziative a favore della biodiversità che hanno permesso di migliorare la qualità del paesaggio, tra cui la piantumazione di oltre 900 alberi da frutta ad alto fusto, una campagna per la creazione di siepi e il ripristino di 2,4 ettari di castagneti. Il parco sta attualmente lavorando all’elaborazione di una strategia e allo sviluppo di progetti di qualificazione paesaggistica, un processo che passa anche dall’integrazione del tema «paesaggio» nelle politiche comunali e nelle discussioni pubbliche. L’obiettivo è di dare uno spazio esplicito al paesaggio, ancora oggi troppo spesso relegato in secondo piano.
In Iffwil im fruchtbaren Berner Mittelland bewirtschaftet Klaus Zaugg sechzehn Hektaren Boden, von denen ein Viertel Pachtland und rund 3,5 Hektaren Wald sind. Seit zwei Jahren wird der Hof nicht mehr als klassischer Familienbetrieb geführt, sondern als Biohof Zaugg AG. Was genau steckt hinter der landwirtschaftlichen Aktiengesellschaft?
«Unser Hof ist zwar flächenmässig eher klein, doch die Bewirtschaftung nach biodynamischen Grundsätzen gemäss Demeter ist ziemlich aufwändig. Hinzu kommt, dass wir unsere Erzeugnisse auch selber verarbeiten und vermarkten. Täglich gehen wir ‹z Märit›, im Wochenturnus nach Bern und auf sechs weitere Märkte in der Region. Wir verkaufen an unserem Stand mehr als 150 verschiedene Produkte, vor allem frisches Gemüse, aber auch Obst, Beeren, Molkereiprodukte, Fleisch, Konfitüre, Honig und noch vieles Weiteres. Wöchentlich bedienen wir rund 700 Stammkunden.
Wir beschäftigen 30 bis 35 Leute, die sich rund 1700 Stellenprozente teilen. Damit erreichen wir personell fast schon die Grösse eines KMU. Hauptsächlich aus diesem Grund haben wir uns 2019 vom Modell des klassischen Familienbetriebs verabschiedet und eine AG gegründet. Diese wird von einer fünfköpfigen Geschäftsleitung geführt. Die Organisationsform gibt uns den notwendigen Spielraum für unsere gesamte Wertschöpfungskette, zu der zum Beispiel auch Milchverarbeitung in unserer eigenen Hofkäserei gehört.
Ich selbst bin für den Gemüsebau verantwortlich, der im regenerativen Anbau erfolgt. Das bedeutet, dass wir den Boden nicht pflügen, sondern nur oberflächlich bearbeiten. In Zukunft möchten wir beim Anlegen der Felder mehr auf die Topografie achten. Ziel ist es, die Erosion und den Wasserabfluss möglichst zu stoppen. Wir pflanzen Baumreihen, die den Wind brechen und die Verdunstung reduzieren. Die Förderung des Wasserkreislaufs über das Mikroklima wird immer wichtiger, denn in den vergangenen Jahren gab es immer wieder Trockenperioden, sodass wir unsere Kulturen bewässern mussten. Der Klimawandel wird immer mehr zu einer Herausforderung. Zum Beispiel tauchen plötzlich neue Arten auf wie seit einigen Jahren die Kirschessigfliege, die unsere Beerensträucher befällt.
Unsere grösste Aufmerksamkeit gilt einem gesunden Boden, denn er ist unsere eigentliche Lebensgrundlage. Aus ästhetischen Gründen und zur Förderung der Artenvielfalt haben wir im Laufe der Jahre eine vielfältige Hecke und Hochstammobstgärten gepflanzt. Zehn Bienenvölker, also rund 300 000 Bienen, sorgen dafür, dass die Äpfel, Birnen, Kirschen, Pflaumen, Zwetschgen und Mirabellen wachsen und gedeihen. Vielfalt ist uns auch auf den intensiv bewirtschafteten Gemüsefeldern wichtig. Dabei sind wir ständig am Ausprobieren von neuen Saaten und Sorten. Neuerdings ernten wir Süsskartoffeln und Borlotti-Bohnen, eine beliebte und gesunde Hülsenfrucht.
Nach getaner Arbeit geniesse ich es, über unseren Hof zu spazieren und den Blick über die Felder, Bäume und Hügel schweifen zu lassen. In dieser Landschaft, die für mich Arbeits- und Erholungsraum ist, bin ich ganz zu Hause. Ich überlege mir auf diesen Spaziergängen, wie sich die Landschaft hier weiter verschönern liesse. Hoffentlich enden unsere Hecken eines Tages nicht länger an der Hofgrenze, sondern sind Teil eines grossen Netzwerks. Wie ausgeräumt unsere Umgebung vielerorts ist, ist mir kürzlich während einer Reise in Norddeutschland aufgefallen. Wir besuchten eine Region, wo die Bauern der Natur offensichtlich noch mehr Spielraum lassen mit dem Resultat, dass die Landschaft dort deutlich abwechslungs- und artenreicher ist als bei uns.»
Mit Trockenmauern begrenzten die Bauern früher ihre Felder, und sie terrassierten damit steile Hänge. Lange Zeit prägten Trockenmauern das Bild vieler Landschaften. In der modernen Landwirtschaft mussten sie grösstenteils Rädern und Maschinen weichen oder zerfielen, da sie ihre Funktion verloren. Mit den Trockenmauern verschwanden auch viele wertvolle Biotope. Im November 2019 hat die UNESCO Trockenmauern zum Weltkulturerbe erklärt. Das hat unzählige Projekte ausgelöst, so auch im Glarnerland. Was beim Wiederaufbau zerfallener Trockenmauern die eigentliche Herausforderung ist, weiss Daniel Kunz.
«Wir restaurieren in einem kleinen Team von sechs Leuten die zerstörten Trockenmauern entlang eines alten Geissenwegs. Unser Gelände befindet sich über dem Talboden, zwischen Mitlödi und Lassigen, unter dem Vorder Glärnisch. Das Projekt wird von Pro Natura und weiteren Umweltorganisationen finanziert.
Mauern ohne Mörtel zu bauen, ist meist reines Handwerk, das man nur in der Praxis lernen kann. Technisch gibt es dabei einen gewissen Spielraum, aber wir Trockenmaurer brauchen auf jeden Fall ein gutes Auge und eine gewisse praktische Begabung. Weil wir keine Bindemittel verwenden, müssen wir umso mehr auf die Statik und die Gesetze der Schwerkraft achten. Ausserdem versuchen wir, der Mauer ein bestimmtes Gepräge zu geben.
Als Einundsechzigjähriger bin ich eher ein spätberufener Trockenmaurer. Aber ich habe zeitlebens immer viel im Freien gearbeitet, zum Beispiel in der Landwirtschaft und auf der Alp. Dieses Projekt ist mehr als einfach ein Job, sondern mit Leidenschaft verbunden. Und mit wachsender Erfahrung macht der Trockenmauerbau auch immer mehr Spass. Jedenfalls gibt es mir ein gutes Gefühl, Landschaft auf diese Art gestalten zu können, auch wenn ich am Abend meistens todmüde bin. Aber weil ich nur am Montag, Donnerstag und Freitag als Trockenmaurer tätig bin, habe ich dazwischen genügend Zeit, neue Kräfte zu sammeln. Die Arbeit im Freien ist ein idealer Ausgleich zu meinem angestammten Beruf als Bewegungs- und Tanztherapeut, den ich jeweils am Dienstag und Donnerstag am Kantonsspital Glarus ausübe.
In unserem bunt durchmischten und ziemlich internationalen Trockenmaurerteam bin ich der einzige Einheimische. Die Landwirte vor Ort interessieren sich für unser Werk nicht sonderlich. Hauptsache, sie können die Felder links und rechts unserer Trockenmauern weiterhin intensiv bewirtschaften. Gutes Echo erhalten wir hingegen von den Leuten, die hier zufällig vorbeikommen. Sie finden die Trockenmauern am alten Geissenpfad, der heute offiziell auch ein Wanderweg ist, eine Bereicherung und sind begeistert. Schön wäre es, wenn wir unsere Trockenmauern später mit Hecken kombinieren könnten. Das wäre für die Artenvielfalt, vor allem für die Vögel, noch besser.
In meiner Freizeit bin ich meistens in der näheren Umgebung unterwegs, weniger als sportlicher Wanderer, sondern eher als gemütlicher Spaziergänger. Ich fotografiere, beobachte die Natur und mache auch mal ein Lagerfeuer. So kann ich die Landschaft, die für mich viel mehr ist als bloss eine Kulisse, intensiv geniessen. Ich kann darin auftanken und mich körperlich und geistig im Gleichgewicht halten.
Meine Ferien verbringe ich am liebsten in Portugal. Auf meinen Streifzügen in den Kork- und Steineichenwäldern im Alentejo beeindruckt mich immer wieder, wie sehr jede Landschaft ihren eigenen Charakter hat. Leider erlebe ich auch immer wieder, wie rücksichtslos mancherorts mit Landschaft umgegangen wird. Vielen Menschen fehlt offensichtlich das Gespür für die Qualitäten und Schönheiten der Landschaft.»
Christelle Conne est à la tête de la Cave Champ de Clos, une exploitation transmise de génération en génération depuis le 15e siècle. Diplômée de l’École Suisse de tourisme, elle s’est d’abord consacrée au domaine de l’événementiel pendant une dizaine d’années, avant d’effectuer une reconversion professionnelle. Son vignoble comprend dix hectares situés entre Montreux et Lutry au cœur de Lavaux Patrimoine mondial de l’UNESCO.
«Cela va faire dix ans que j’ai repris l’exploitation de mes parents et je ne me lasse toujours pas du paysage. Nous avons cette chance incroyable d’avoir nos vignes en terrasse en face du lac Léman. J’y suis tous les jours et je trouve l’endroit merveilleux à chaque fois.
Mais ça ne se fait pas tout seul. La beauté du lieu est le résultat d’un effort quotidien. Je passe mon temps à lutter contre les maladies et à essayer de canaliser cette végétation qui part dans tous les sens. Il faut aussi entretenir les murs et les escaliers de pierre, régulièrement réaliser de la maçonnerie et contrôler les systèmes de drainage par exemple. Ma vigne reste avant tout un outil de travail qui me sert à produire du vin, mais je me sens fière de pouvoir contribuer au charme de Lavaux en exerçant mon activité professionnelle.
Cependant, les domaines en terrasse ne sont pas évidents à exploiter et une grande partie du travail doit se faire à la main notamment. Les coûts à l’hectare y sont nettement plus élevés que pour un vignoble plus plat. Malheureusement, nous ne pouvons pas répercuter ces coûts sur le prix des bouteilles de vin. C’est un défi que tous les vignerons de la région vont devoir relever ces prochaines années.
Le paysage de Lavaux reste néanmoins un atout pour mon exploitation. Il attire des touristes qui se disent époustouflés en arrivant. Après l’inscription de Lavaux au Patrimoine mondial de l’UNESCO en 2007, le nombre de vacanciers d’outre-mer a clairement augmenté. Avant la pandémie, je recevais des cars de plus de cinquante touristes plusieurs fois par semaine, car mon domaine fait partie du circuit touristique de plusieurs tour-opérateurs. Généralement, ils viennent de Berne et repartent rapidement pour Zermatt ou Chamonix. À Chexbres, nous les accueillons pour une visite de la cave et une dégustation de vins. Les ventes de vin par contre n’ont pas significativement augmenté.
Le fait que mon vignoble soit inclus dans le Patrimoine mondial ne me donne pas de contraintes particulières. Nous ne sommes pas considérés comme un territoire naturel, mais plutôt comme un territoire vivant. Les vignes en terrasses ont été construites par l’Homme et l’endroit va probablement se transformer dans le futur. À l’époque de mon grand-père, toutes leurs vignes étaient cultivées en forme de gobelet et il n’y avait pas d’herbe au sol par exemple. Aujourd’hui, le système de taille est différent ; les vignes sont en lignes et les terrains enherbés. Les connaissances technologiques et les méthodes culturales vont pouvoir continuer d’évoluer avec leur temps et ne pas rester figées dans un schéma qui serait complètement dépassé.
Si l’UNESCO ne nous donne pas de contraintes sur les modifications que l’on peut apporter sur notre territoire, nous autres vignerons devons par contre suivre de nombreuses réglementations ; notamment celles édictées par la Confédération sur la culture de la vigne ou le plan d’affectation régional de Lavaux (PAC Lavaux) mis en place suite aux initiatives de M. Franz Weber*.»
* L’initiative populaire de Franz Weber a obtenu en 1977 la protection du vignoble de Lavaux. Le plan d’affectation cantonal de Lavaux (PAC Lavaux) est la réponse à une nouvelle initiative de 2014 qui voulait réduire les zones à bâtir de Lavaux.
Lionel Tudisco travaille depuis 2012 pour l’administration de la Ville de Sion, capitale du Valais. Il a été responsable de «AcclimataSion», un projet pilote d’adaptation au changement climatique de la ville, soutenu par la Confédération entre 2014 et 2016.
« J’ai vécu quelques années sur l’arc lémanique, notamment pour réaliser mes études de géographie. Puis j’ai déménagé en Valais, lorsque j’ai été engagé par le Service de l’urbanisme et de la mobilité de la Ville de Sion. En revenant dans mon canton d’origine, j’ai pris conscience du paysage exceptionnel de la région et de son importance pour ses habitants. Je me rappelle qu’à cette période, le plan directeur communal – un document qui fixe les grandes orientations stratégiques de la ville sur les trente ans à venir – mettait en avant les spécificités du paysage sédunois avec un souhait appuyé de les conserver et de les valoriser tout en fixant des limites claires à l’urbanisation pour éviter les problématiques liées à l’étalement urbain. La Municipalité affirmait donc la particularité de Sion, un territoire ‹ entre ville et paysage ›, ça m’avait interpellé.
De fait, Sion a une identité paysagère très forte. Sa vieille ville date de l’époque médiévale. Avec les récentes fusions de communes de coteau, le territoire de la commune s’étend du centre urbain en fond de vallée jusqu’au montagnes, à 2000 mètres d’altitude. Il comprend par exemple deux coteaux parsemés de vignes ou de forêts, suivant l’exposition, des collines héritées de l’époque glaciaire, des châteaux médiévaux ou encore des lacs. Tout cela forme un paysage très varié, voire hétéroclite, qui concentre pratiquement toutes les problématiques suisses. Pour les spécialistes de l’aménagement du territoire et les urbanistes, c’est un territoire très intéressant à travailler.
Le paysage est pris en compte dans tous nos projets. Nous recevons quotidiennement des demandes de préavis pour de futures constructions. En appliquant notre règlement des constructions, nous devons parfois réaliser une pesée d’intérêts, nous questionner si c’est vraiment le bon endroit pour implanter ce genre d’affectation. Notre but est de tirer parti du paysage pour essayer de structurer le développement de la ville au mieux, tout en permettant aux nouveaux usages et changements en cours comme l’adaptation au changement climatique d’être considérés. Nous devons d’abord établir quelles sont les valeurs d’un territoire, les éléments en danger ou les éléments identitaires à préserver. Il s’agit ensuite de mettre en place des processus pour protéger ou non ces éléments-là. L’idée n’est pas de placer la ville sous cloche, elle doit pouvoir évoluer.
Nous avons d’ailleurs beaucoup travaillé sur la notion de changement perpétuel, notamment en développant avec la SIA une application de réalité augmentée qui montre l’évolution des espaces publics de la Ville de Sion au cours du dernier centenaire. À l’annonce d’une modification, il peut y avoir des réactions fortes et des blocages, car le paysage est hautement lié à l’émotionnel, à l’attachement culturel ou aux souvenirs qu’on en garde. Ces notions psychologiques sont importantes à prendre en compte pour accompagner les démarches de changement.
Dans le cadre d’‹ AcclimataSion ›, nous avons notamment développé des guides pédagogiques destinés à la population. Ils expliquent pourquoi il est essentiel d’apporter de la nature et du soin aux aménagements extérieurs dans les projets de transformation ou de conception d’un bâtiment. Pour moi, une des missions des collectivités publiques consiste à faire prendre conscience aux acteurs de la construction de leur responsabilité à l’égard du paysage et de ses valeurs naturelles et culturelles. Il n’y a pas seulement la ville qui soit responsable de créer des projets de qualité, les privés aussi ont un rôle à jouer, ce sont surtout eux qui font la ville. »
L’agricoltura urbana è un fenomeno ampio e diversificato che trascende di gran lunga gli orti sui balconi o le coltivazioni sui tetti. Oltre a progetti innovativi e a nuovi modelli di giardinaggio urbano (urban gardening), vi sono aziende agricole che puntano sui vantaggi offerti dalla vicinanza alla città e hanno sviluppato nuovi modelli commerciali. Una pubblicazione online di AGRIDEA presenta, sulla base di diversi esempi, le opportunità offerte dall’agricoltura urbana e fornisce informazioni approfondite nonché consigli e suggerimenti per il lancio di progetti.
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