Economia circolare, un’opportunità anche per le regioni

Pirmin Schilliger & Urs Steiger
L’economia circolare figura da decenni nell’agenda per la transizione ecologica. Negli anni è divenuta un modello integrato e maturo che punta a rendere sostenibili le attività economiche. Ora si tratta di applicarlo all’economia nel suo insieme, e quindi anche allo sviluppo regionale, integrandolo per esempio nella Nuova politica regionale (NPR).
La start-up Basis 57 nachaltige Wassernutzung SA con sede a Erstfeld (UR) utilizza l’acqua calda e pulita della galleria di base del San Gottardo per la pescicoltura (lucioperca). © regiosuisse

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Nell’economia globale il 90 per cento dei materiali proviene da materie prime di nuova estrazione e, tra queste, il 40 per cento è costituito da fonti energetiche fossili. Da questi semplici dati emerge in tutta la sua evidenza la necessità di adottare un modello economico che utilizzi le risorse con parsimonia. Il concetto di economia circolare offre un approccio basato su un sistema di energie rinnovabili e cicli dei materiali chiusi. Le sostanze inquinanti e nocive per la salute andrebbero inoltre sostituite con sostanze non pericolose.  

Il principio dell’economia circolare

Il concetto di economia circolare è stato introdotto agli inizi degli anni 1990 dall’economista britannico David W. Pearce a partire dai principi dell’ecologia industriale. Successivamente, Michael Braungart, chimico tedesco e professore di ingegneria di processo, e l’architetto americano William McDonough hanno sviluppato ulteriormente quest’approccio tra la fine degli anni 1990 e l’inizio degli anni 2000. Nel loro libro «Cradle to Cradle. Remaking the Way We Make Things»1 auspicano l’adozione di un sistema di produzione profondamente nuovo nel quale i materiali non vengono più conferiti in discarica o inceneriti e le sostanze non biodegradabili sono riutilizzate per produrre nuovi oggetti.

In base al principio «cradle-to-cradle» (C2C, letteralmente «dalla culla alla culla») l’economia circolare distingue tre categorie di sostanze:

➊ i beni di consumo – come detergenti, shampoo o materiali di imballaggio – devono essere sistematicamente prodotti con sostanze biologiche in modo da essere compostabili e degradarsi nell’ambiente senza lasciare alcuna traccia inquinante;

➋ i beni durevoli – come auto, lavatrici o televisori – costituiti da componenti e materiali «tecnici» vanno progettati in modo tale che alla fine del loro ciclo di vita possano essere completamente scomposti in elementi riutilizzabili; in tal modo i materiali sono ripetutamente reimmessi nel sistema di produzione industriale;

➌ sostanze considerate rifiuti che vengono inceneriti o conferiti in discarica: nell’economia circolare questa categoria di sostanze non esiste praticamente più.

Michael Braungart, uno degli ispiratori dell’economia circolare, sottolinea che questa non punta semplicemente a ridurre o minimizzare i rifiuti, quanto piuttosto a evitarne la produzione. Nel caso in cui i materiali impiegati per i beni durevoli non possano (ancora) essere sostituiti da materiali riciclabili, bisogna almeno ridurre il consumo di risorse e prolungare la durata di vita dei prodotti.


L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che prende in considerazione l’intero ciclo di produzione, dall’estrazione delle materie prime al riciclaggio, passando per le fasi di concezione, produzione, distribuzione e utilizzazione, con quest’ultima che dovrebbe essere quanto più lunga possibile. Se si riesce a chiudere il ciclo dei materiali e dei prodotti, le materie prime possono continuare a essere riutilizzate. © UFAM/regiosuisse

Un progetto interdisciplinare globale

L’eliminazione graduale dei combustibili fossili è un presupposto imprescindibile per realizzare un’economia circolare. Se politicamente la Svizzera è sulla buona strada nella promozione della transizione energetica, l’inclusione di tutti i flussi di materiali in un ciclo rappresenta un’enorme sfida. Affinché la trasformazione abbia successo, è necessario fare ulteriori passi avanti, anche a livello politico. Secondo Braungart, fintanto che i contribuenti saranno disposti a pagare per lo smaltimento dei rifiuti in costosi impianti di incenerimento, non vi è alcuna ragione che spinga i produttori ad applicare volontariamente il principio C2C (dalla culla alla culla).

La trasformazione dell’economia lineare in economia circolare è un progetto globale interdisciplinare che deve coinvolgere tutti gli attori e tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti, dall’estrazione delle materie prime allo sviluppo e al design dei prodotti, passando per la produzione, la distribuzione/logistica, il consumo e la gestione dei rifiuti. Quest’ultima permette di evitare di smaltire i materiali, reimmettendoli nel ciclo produttivo come materie prime secondarie. L’economia circolare concerne però anche le modalità di fruizione dei prodotti e quindi anche i modelli di business. Gli imperativi sono noleggiare (anziché acquistare), condividere (anziché possedere), riparare/ricondizionare/rinnovare (anziché gettare). Con le loro abitudini e i loro comportamenti, i consumatori e le consumatrici possono contribuire in misura determinante al cambio di paradigma.

Successo economico grazie alla circolarità

Nell’ambito della produzione, la circolarità chiama in causa soprattutto le aziende. Con prodotti come sedie, scarpe da ginnastica o moquette, diverse aziende pioniere hanno già dimostrato che i modelli di business circolari possono rivelarsi redditizi. La Forster Rohner di San Gallo, per esempio, ha sviluppato imbottiture rivestite compostabili per sedie d’ufficio e sedili degli aerei. Solo poche aziende sono però in grado di soddisfare le rigorose esigenze del label «C2C». Uno degli esempi è rappresentato dalla Vögeli Druck di Langnau, la prima tipografia al mondo ad aver ottenuto, nel 2016, la certificazione C2C Gold.

Nell’industria metallurgica e meccanica, la transizione verso l’economia circolare passa generalmente da un percorso di ottimizzazione articolato in più fasi. Grazie ai miglioramenti apportati ai processi, per produrre i lavelli da cucina oggi la ditta Franke consuma tre quarti di energia in meno e solo la metà dell’acciaio inossidabile rispetto ad alcuni anni fa. Nell’industria è ormai prassi corrente riciclare molti metalli, in particolare il platino, l’oro e il palladio, semplicemente perché sono troppo preziosi per finire tra i rifiuti. Inoltre, molti metalli possono essere facilmente rilavorati per poi essere utilizzati in un successivo ciclo di produzione senza perdite di qualità. Ogni anno, in Svizzera, circa 1,6 milioni di tonnellate di rottami di ferro e acciaio vengono trasformati in acciaio da costruzione e acciaio inossidabile e 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani raccolti in modo differenziato sono rimessi in circolo. Nell’edilizia e nell’ingegneria civile, quasi 12 milioni di tonnellate di materiali di demolizione come cemento, ghiaia, sabbia, asfalto e muratura – ovvero i due terzi del totale – vengono riciclati. Secondo David Hiltbrunner della sezione Cicli delle materie prime dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), 5 milioni di tonnellate di materiali da demolizione e 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sfuggono (ancora) ogni anno al riciclo.

Le fibre tessili, le plastiche e i materiali compositi, i rottami elettronici, le sostanze chimiche e alcuni rifiuti biogenici restano complessi da gestire in un’ottica di economia circolare. Si tratta infatti di materiali che possono essere scomposti e riciclati solo con un enorme dispendio. Tuttavia, il numero di aziende che sviluppano modelli di business innovativi basati sui principi dell’economia circolare sta crescendo anche nei settori più difficili. Alcuni esempi: la ditta Mobili Pfister propone dal 2018 una collezione di tende con la certificazione C2C Gold, la start-up TRS (Tyre Recycling Solutions) con sede a Yvonand (VD) rigenera o ricicla vecchi pneumatici e la Bauwerk di St. Margrethen (SG) ricondiziona vecchi pavimenti in parquet.

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Verso l’abbandono della società dell’usa e getta

Per rendere riciclabili anche i beni di consumo più complessi, come lavatrici, computer o automobili, occorre però creare condizioni quadro adeguate. La direttiva UE sulla progettazione ecocompatibile (direttiva Eco-Design) e la direttiva quadro (sempre dell’UE) sui rifiuti, per esempio, esigono esplicitamente la promozione di modelli di produzione e consumo sostenibili, in particolare una progettazione orientata alla durabilità, la riparabilità degli apparecchi elettrici, misure contro lo spreco alimentare e campagne di informazione per la popolazione. In alcuni Paesi europei l’attuazione è già molto avanzata. Da dieci anni i Paesi Bassi privilegiano la circolarità nelle procedure di appalto pubbliche e acquistano beni e servizi che soddisfano il principio C2C per un valore di diverse decine di miliardi di euro. Con il Piano d’azione per l’economia circolare adottato nel 2020, l’UE ha ulteriormente intensificato i propri sforzi. Attualmente si sta discutendo di estendere la direttiva Eco-Design a tutti i beni di consumo: l’Europa vuole abbandonare definitivamente il modello di economia lineare fondato sull’usa e getta. Le direttive europee si applicano anche a tutti i produttori svizzeri che vogliono esportare prodotti nei Paesi dell’UE.

Non è un caso che la progettazione ecocompatibile sia al primo posto nel piano d’azione dell’UE: fino all’80 per cento dell’impatto ambientale dei prodotti è determinato nella fase di progettazione, così come la loro durata di vita e la loro riparabilità. Inoltre, vale la regola ecologica della sufficienza, secondo cui bisogna prolungare la vita utile degli oggetti il più a lungo possibile prima di riciclarli. Un uso parsimonioso delle risorse limitato allo stretto necessario evita il funzionamento a vuoto e ulteriori costi successivi. Secondo Hiltbrunner, tutte le strategie che vanno nel senso di un utilizzo delle sostanze e dei materiali più economico, efficiente e duraturo contribuiscono all’economia circolare.

L’agenda svizzera

Anche in Svizzera l’economia circolare rappresenta una delle priorità dell’agenda politica. La ragione è semplice: in nessun altro Paese la quantità di rifiuti urbani prodotta pro capite è così elevata, e questo nonostante l’alto tasso di riciclo.

Attualmente gli interventi depositati in Parlamento che concernono l’economia circolare sono almeno otto. Il più importante è l’iniziativa parlamentare 20.433 «Rafforzare l’economia circolare svizzera» con il relativo rapporto della Commissione dell’ambiente, della pianificazione del territorio e dell’energia del Consiglio nazionale dell’11 ottobre 2021. Questa primavera il Consiglio federale ha fatto il punto della situazione e intravede un enorme potenziale per l’economia circolare nei settori delle costruzioni e delle abitazioni, dell’agricoltura e dell’industria alimentare, della mobilità, dell’ingegneria meccanica e dell’industria chimica. L’Amministrazione federale ha identificato una serie di prescrizioni e norme che ostacolano l’economia circolare e sta valutando in che modo eliminare gli ostacoli. Appare chiaro che gli aspetti dell’economia circolare, approccio che presuppone un uso parsimonioso delle risorse, dovranno essere integrati nelle politiche settoriali della Confederazione. Il Consiglio federale ritiene che la strada migliore sia un coordinamento con la Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030 della Confederazione e con le strategie nazionali di lungo periodo in materia di clima, economia e agricoltura.

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Evoluzione della NPR

Finora la promozione dell’economia circolare non è stata una priorità esplicita della NPR, ma ne diventerà parte integrante a partire dal prossimo periodo di programmazione. È quanto auspica anche Romed Aschwanden, direttore del Centro di studi «Culture delle Alpi» dell’Università di Lucerna con sede a Altdorf, secondo cui la NPR dovrebbe orientarsi in modo radicale al principio della sostenibilità. A detta di Aschwanden, presto il problema principale nelle regioni periferiche non saranno tanto le disparità salariali quanto i cambiamenti climatici. Gli uffici competenti, primo fra tutti la SECO, e i servizi cantonali responsabili della NPR hanno già avviato i necessari lavori preparatori. Il quadro di riferimento è rappresentato dai diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che sono parte integrante dell’Agenda 2030, un programma d’azione globale su cui poggia anche la Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030 adottata dal Consiglio federale. La Direzione per la promozione della piazza economica della SECO potrà partire da questa base per integrare le idee e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile nella NPR. Secondo Ueli Ramseier, che per conto della SECO coordina i lavori per l’integrazione della dimensione della sostenibilità nella NPR, l’economia circolare svolgerà un ruolo importante per l’ambito tematico prioritario «consumo e produzione sostenibili». Inoltre, da anni la NPR promuove le energie rinnovabili e la progettazione di insediamenti sostenibili e resilienti nell’ambito del tema prioritario «clima, energia e biodiversità».  

L’allineamento della NPR con gli obiettivi di sviluppo sostenibile va inteso come un’evoluzione e un completamento della NPR piuttosto che come un cambiamento di sistema. Nel periodo di programmazione 2024-2027, i contributi agli aspetti sociali ed ecologici dello sviluppo sostenibile saranno ampliati e avranno un peso maggiore. La NPR continuerà a focalizzarsi sull’economia regionale, ma i servizi cantonali responsabili e la SECO saranno chiamati a cofinanziare un numero maggiore di progetti NPR incentrati sull’economia circolare. Ueli Ramseier conferma comunque che la NPR manterrà i propri obiettivi generali, ossia rafforzare la competitività delle regioni, creare posti di lavoro, mantenere l’occupazione decentrata del territorio ed eliminare le disparità regionali.

Sfruttare i punti di forza della politica regionale

Anche se a prima vista non si direbbe, le regioni svolgono un ruolo importante nella promozione dell’economia circolare. Lo scorso anno regiosuisse ha deciso di cogliere la sfida. Lorenz Kurtz, capoprogetto, spiega che regiosuisse intende costruire un know-how in questo campo, diffondere le conoscenze necessarie e sviluppare ausili concreti per le regioni. Nell’ambito della comunità delle conoscenze «Economia circolare e sviluppo regionale», regiosuisse ha messo a punto un toolbox nel quale sono raccolte le conoscenze acquisite con esempi di buona prassi, ausili pratici e possibili approcci. Per favorire l’implementazione di questo tema complesso nelle regioni, nel marzo 2022 regiosuisse ha organizzato un workshop online (RegioLab Economia circolare) su come integrare l’economia circolare a livello strategico.

Si schiudono quindi opportunità concrete per le regioni che si focalizzano già su temi e ambiti strutturati a livello regionale piuttosto che globale – agricoltura e silvicoltura, produzione alimentare, lavorazione del legno, energie rinnovabili, infrastrutture, servizi regionali e quindi anche turismo. Un’analisi sistematica dei flussi di materiali e delle catene di produzione in questi settori mostra che il potenziale regionale per l’economia circolare è enorme. Oltre alla formazione e al trasferimento di conoscenze, per promuovere l’economia circolare occorrono ulteriori incentivi finanziari. Servono fondi non solo per i progetti in sé, ma anche per il loro accompagnamento professionale e per l’elaborazione di strategie regionali di sviluppo dell’economia circolare. Secondo Ramseier, si potrebbe ampliare la promozione per i progetti particolarmente impegnativi che raggiungono il massimo livello in fatto di sostenibilità e aumentare i finanziamenti da parte della Confederazione.

Norman Quadroni, responsabile della politica regionale presso arcjurassien, vede nell’economia circolare una grande opportunità per utilizzare meglio le risorse naturali delle regioni rurali, di confine e di montagna e per valorizzarne altre, che in una prospettiva di sviluppo puramente orientata all’esportazione sarebbero trascurate. Inoltre, alcune attività economiche attualmente organizzate a livello internazionale potrebbero, secondo Quadroni, essere riportate nella regione e inserite in cicli corti. Grazie a qualità strutturali, come la prossimità e le dimensioni ridotte e controllabili, le regioni si prestano particolarmente per l’attuazione di processi circolari. La cooperazione interdisciplinare e interaziendale in rete, attuata da sempre dalla NPR, risulta infatti essere particolarmente preziosa in un’ottica di economia circolare.

regiosuisse.ch/economiacircolare

ufam.ch

Promotori dell’economia circolare

Oltre a regiosuisse, varie altre organizzazioni offrono agli attori interessati know-how, conoscenze e coaching in materia di economia circolare:

Go for impact associazione creata in collaborazione con l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) con l’obiettivo di promuovere politicamente ed economicamente l’economia circolare in Svizzera e contribuire alla sua realizzazione.

Circular Economy Switzerland movimento che promuove l’economia circolare e che gode di un ampio sostegno economico, politico e sociale. Gestisce una piattaforma rivolta a tutte le organizzazioni, aziende e persone interessate all’economia circolare. Ha redatto una Carta per l’economia circolare e sostiene una serie di iniziative fornendo conoscenze, organizzando workshop e portando attività di lobbying a livello politico.

CircularHub piattaforma aperta di conoscenze e di messa in rete per promuovere l’economia circolare in Svizzera, che propone alle start-up e alle imprese innovative offerte di formazione, consulenza e accompagnamento di progetto.

Rete Svizzera per l’efficienza delle risorse (Reffnet) rete di esperti che forniscono consulenza e supportano le aziende in vista dell’elaborazione di un piano di misure con interventi concreti volti ad aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse.

Ressource pressure design method metodo di progettazione basato sulla pressione sulle risorse e sviluppato da un gruppo di ricerca dell’EMPA nell’ambito del PNR 73 «Economia sostenibile», con il quale si vuole contribuire all’adozione di decisioni più sostenibili nella progettazione di prodotti e di servizi.

PRISMA comunità di interessi delle aziende dell’industria alimentare, dei beni di consumo e degli imballaggi che si impegna per implementare l’economia circolare nel settore del confezionamento.

Prozirkula centro di competenza per gli appalti pubblici circolari che promuove l’integrazione dei principi dell’economia circolare nelle procedure di gara pubbliche e private. Offre consulenza, trasferimento di conoscenze e networking (vedi anche articolo Verso appalti pubblici circolari).

PAP piattaforma di conoscenze sugli appalti pubblici sostenibili.

Kompass Nachhaltigkeit piattaforma di conoscenze finanziata dalla SECO e gestita congiuntamente dalla fondazione Pusch e dall’associazione öbu (associazione per l’economia sostenibile in Svizzera).

Idee, iniziative e progetti riguardanti l’economia circolare

Agricoltura/alimentari

Star’Terre iniziativa intercantonale nella regione del Lago Lemano che promuove la produzione e la commercializzazione regionale di prodotti agricoli e alimentari e cicli di produzione e consumo corti (vedi articolo Tra agricoltura e start-up).

Azienda di orticultura Gebr. Meier Primanatura AG, Hinwil ZH l’azienda possiede serre a zero emissioni di CO2 riscaldate grazie al calore recuperato dal vicino impianto di incenerimento dei rifiuti. Anche il CO2 utilizzato per favorire la crescita degli ortaggi proviene dall’inceneritore o viene aspirato e filtrato dall’aria.

Bösiger Gemüsekulturen AG, Niederbipp (BE) orticoltura circolare.

Acquaponica tipologia di agricoltura mista ad allevamento sostenibile basata su una combinazione di acquacoltura e coltivazione idroponica. La Scuola universitaria di scienze applicate di Zurigo (ZHAW) studia questo settore e offre workshop e corsi per le persone interessate.

Progetti contro lo spreco alimentare: start-up/app «Too good to go», piattaforma «United against Waste».

«Kreislaufwirtschaft im Seeland» (progetto NPR 2021–2023) progetto con il quale ristoranti, panetterie e mense scolastiche della regione del Seeland cercano, insieme ad altri attori (produttori di ortaggi, consumatori), di chiudere i cicli della catena del valore.

Centravo AG, Lyss (BE) azienda che da 25 anni ricicla sottoprodotti e materiali residui di origine animale risultanti dai processi di macellazione.

Finge Funghi AG azienda zurighese che produce funghi bio da sottoprodotti della macinazione (crusca di grano).

RethinkResource start-up che ha creato «Circado», un mercato B2B che favorisce il recupero e il riciclo di sottoprodotti dell’industria alimentare.

Ricoter Erdaufbereitung AG azienda fondata nel 1981 con sedi a Aarberg (BE) e Frauenfeld (TG) che produce terra per giardini a partire da rifiuti organici di raffinerie di zucchero.

Brauerei Locher Appenzell (AI) progetto agroindustriale.

ortoloco – cooperativa di orti, Dietikon (ZH) cooperativa formata da 500 persone che gestiscono orti condivisi e prendono le decisioni insieme ai produttori e ai consumatori.

Cooperative d’acquisto in cui i consumatori cooperano direttamente con i produttori, p. es. Tante Emmen, Koop Teiggi Kriens, piattaforma Crowd Container, IG Foodcoops.

Qwstion marca zurighese di borse che ha lanciato un nuovo materiale tessile fabbricato a partire da fibre di banano.

Edilizia/settore immobiliare

Edilizia circolare (Beat Bösiger, bluefactory), demolizione, calcestruzzo riciclato, utilizzo di materiali locali, sostenibili e rinnovabili ecc., riciclo dell’asfalto.

Eberhard Bau AG azienda da 40 anni pioniera del riciclaggio di materiali edili, che trasforma rifiuti da costruzione e demolizione in materie prime secondarie senza perdite di qualità.

Altri specialisti del riciclo di materiali da costruzione: Ronchi SA di Gland (VD), Sotrag SA di Etoy (VD), Kästli Bau AG di Rubigen (BE),BOWA Recycling di Susten (VS).

Neustark, Berna azienda bernese specializzata nella cattura del CO2 atmosferico nel granulato di calcestruzzo riciclato.

Pianificazione integrata e gestione congiunta di zone industriali e artigianali progetti a Le Locle (NE), St-Imier (NE) , Val-de-Ruz (NE), Sensebezirk BE (zone di attività), Sierre VS (Ecoparc di Daval, vedi articolo Meno è di più), Schattdorf (UR) ecc.

enoki, Friburgo start-up friborghese che progetta e pianifica quartieri e città circolari.

Terrabloc, Ginevra azienda ginevrina che produce materiali di costruzione e isolanti a partire dall’argilla.

VADEME progetto Interreg che punta a una soluzione coordinata per il riciclo degli inerti minerali nella regione di Ginevra e Annecy (vedi articolo VADEME, ridare vita ai rifiuti minerali).

ORRAP progetto Interreg (2016–2019) per il riciclo dell’asfalto nella regione di Basilea.

Iniziative, progetti, strategie

AlpLinkBioEco progetto Interreg conclusosi nell’aprile 2021 nell’ambito del quale è stato ideato un generatore di catene di valore e un masterplan per un’economia circolare basata su materie prime naturali locali nello Spazio alpino.

Sharely start-up che gestisce una piattaforma per noleggiare oggetti d’uso quotidiano.

Make furniture circular iniziativa della fondazione Pusch e del Fondo pionieristico Migros per promuovere la fabbricazione di mobili con materiali riciclati.

Riparazione, riuso, riciclo iniziative regionali per promuovere la riparazione, il riuso e il riciclo di oggetti, tra cui Second hand Day, negozi dell’usato, officine/caffè riparazione, centri di riciclo e riuso ecc.

Economia circolare nel Parc Naturel Régional Chasseral rilocalizzazione di catene del valore, conservazione e valorizzazione di risorse naturali locali.

Roadmap economia circolare nel Cantone di Friburgo strategia cantonale.

Plattform 1PEC borsa delle idee per promuovere l’economia circolare in Vallese.

Kreislaufwirtschaft Oberwallis progetto per promuovere l’economia circolare in una regione rurale (sostenuto dal programma «Sviluppo sostenibile», ARE, 2022).

Share Gallen rete e piattaforma di condivisione a San Gallo (progetto sostenuto dal programma «Sviluppo sostenibile», ARE, 2018).

Energie rinnovabili

Impianti biogas: p. es. Kägiswil OW e Kompogasanlage Wauwil LU (entrambi sostenuti dalla NPR), BiogasTicino SA sul Piano di Magadino.

Satom SA, Monthey (VS) produzione di biometano da rifiuti organici.

Programma «Promozione della filiera legno» del Cantone di Vaud (progetto NPR): promozione della filiera regionale del legno, quale materia prima e vettore energetico rinnovabile, con l’obiettivo di aumentare il valore aggiunto in tutte le fasi di produzione e trasformazione.

Programma «Smart Villages/Smart Regions»

La digitalizzazione interessa tutti i settori della vita e schiude nuove possibilità di sviluppo anche per i comuni e le regioni di montagna. Come possono essere utilizzate in modo intelligente queste possibilità? Per rispondere alla domanda la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e il Gruppo svizzero per le regioni di montagna (SAB) hanno lanciato il programma «Villaggi intelligenti / Regioni intelligenti» (Smart Villages/Smart Regions). L’iniziativa, che si inquadra nelle misure pilota npr, offre consulenza e sostegno finanziario ai comuni e alle regioni che elaborano in base a un processo partecipativo misure per utilizzare in modo «smart» infrastrutture, modelli e applicazioni digitali. Lo scopo è giungere all’approvazione di un piano d’azione da parte dall’esecutivo comunale che includa progetti di attuazione concreti. Alla misura pilota partecipano attualmente più di una dozzina di comuni e regioni. La partecipazione è aperta anche ad altri comuni e regioni.

Programma e partecipazione

regiosuisse.ch/misure-pilota-npr-regioni-di-montagna

Idee fresche per lo sviluppo regionale

Lukas Denzler

Attraverso il Next Generation Lab, regiosuisse ha testato quest’anno un approccio nuovo e creativo per coinvolgere i giovani adulti nello sviluppo regionale. Previsto originariamente per la conferenza formation-regiosuisse di aprile 2020, il laboratorio si è finalmente tenuto in modalità virtuale. Gruppi composti da tre o quattro giovani sono stati chiamati a sviluppare un’idea di progetto per la propria regione, seguiti e assistiti da coach di regiosuisse oltre che da mentori locali. Alla prima giornata, il cosiddetto «design sprint», hanno preso parte quattro gruppi provenienti, rispettivamente, da Prättigau/Davos, Turgovia, Alto Vallese e Vallese romando. I loro componenti si sono incontrati in forma presenziale nelle regioni, mentre gli scambi con coach e mentori nonché la valutazione delle idee da parte di una giuria sono avvenuti in modo virtuale.

Secondo Thomas Probst di regiosuisse, che ha diretto il Next Generation Lab, le esperienze fatte dimostrano che l’approccio funziona. L’accompagnamento intensivo nel processo di design thinking è tuttavia di fondamentale importanza. Due dei gruppi hanno poi avuto la possibilità di approfondire nel corso di una seconda giornata le proprie idee progettuali, che hanno in comune il fatto di promuovere e valorizzare prodotti regionali. Il gruppo del Vallese romando ha proposto un’offerta turistica per la Val d’Hérens, mentre quello turgoviese ha lavorato su come favorire l’incontro tra produttori regionali e consumatori.

Sherine Seppey e François Parvex © regiosuisse

Brigitte Fürer, che ha accompagnato il gruppo turgoviese in qualità di mentore e fino alla scorsa estate è stata direttrice di Regio Frauenfeld, è convinta che un formato come il Next Generation Lab possa dare nuovi impulsi ed essere fonte d’ispirazione, tanto che incoraggia la regione a far propria l’idea e a svilupparla ulteriormente. Thomas Probst sottolinea infine come nel corso delle due giornate entrambi i gruppi siano riusciti, partendo da idee vaghe, a sviluppare modelli di business concreti e a ottenere così risultati ben superiori a quelli attesi al momento della concezione del Next Generation Lab.

Next Generation Lab: progetta il tuo futuro!
Un laboratorio serve a ideare e testare nuove idee. Con un lavoro di squadra si sviluppano idee, si sperimentano nuove procedure, si scartano gli approcci meno promettenti, si elaborano e ottimizzano soluzioni creative. Ed è proprio così che funziona il regiosuisse Next Generation Lab, un laboratorio di innovazione per lo sviluppo di nuove idee. Con esso regiosuisse sperimenta un metodo co-creativo nello spazio virtuale per dare una risposta a una serie di domande: quali sono i temi regionali che interessano i giovani? Come possono i giovani dare nuovi impulsi allo sviluppo regionale? Come possono fornire un contributo per un futuro sostenibile e a misura d’uomo? regiosuisse.ch/it/next-generation-lab

La versione integrale in tedesco francese

Altri articoli

La ripartenza digitale delle imprese dell’Arco giurassiano

Muriel Raemy

La resilienza economica rappresenta uno degli elementi fondamentali del progetto «Digital Arc Hub», una missione più che mai d’attualità in questi tempi di pandemia. Sostenuto nel quadro del programma d’attuazione intercantonale NPR dell’Arco giurassiano, il progetto mira a sviluppare uno strumento diagnostico che consenta alle pmi di valutare la propria maturità digitale. Le imprese potranno così disporre di una piattaforma informatica per analizzare il proprio grado di maturità in base alle loro dimensioni e al settore di attività, oltre che di aiuti mirati per pianificare gli obiettivi e realizzare la trasformazione digitale.

«Il clima di incertezza legato alla pandemia di coronavirus e le capacità di adattamento necessarie per far fronte al succedersi degli eventi hanno rivelato alle imprese l’importanza della digitalizzazione». Maxime Marteil è responsabile di progetto presso l’associazione arcjurassien.ch, che gestisce e coordina il programma intercantonale NPR Arc jurassien. A suo avviso, la missione del Digital Arc Hub, ossia accompagnare l’innovazione sul territorio, ha assunto un senso del tutto nuovo da quando è esplosa la crisi sanitaria: per il momento, le imprese che hanno portato avanti lo sviluppo del proprio ambiente digitale se la cavano meglio delle altre. «Una certa curiosità per la trasformazione digitale non basta più. Le strutture economiche devono obbligatoriamente posizionarsi: ne va della loro sopravvivenza a più o meno breve termine».

Malgrado le imprese siano coscienti dell’opportunità, il tema può sembrare piuttosto vago: Quali obiettivi vanno fissati? Con quali tempistiche? Per ottenere quali risultati? E, soprattutto, da dove cominciare?

Uno strumento diagnostico
Questi interrogativi hanno portato, a fine 2018, alla creazione del Digital Arc Hub sotto forma di partenariato pubblico-privato. Il progetto coinvolge numerosi attori economici dei Cantoni Giura e Neuchâtel, del Giura bernese e del Nord vodese, interessati a misurare la maturità digitale delle imprese che formano un tessuto industriale specifico. «Avevamo bisogno di uno strumento pratico che permettesse loro di fare un’autovalutazione», spiega Maria Sokhn, professoressa all’Alta scuola di gestione Arc (heg Arc) alla quale è affidato il progetto. Un gruppo di lavoro composto da esperti e imprese pilota ha dunque studiato la letteratura in materia e affinato i diversi modelli fino a ottenere uno strumento di autodiagnosi, oggi in fase di aggiustamento. «L’abbiamo concepito per l’impiego più ampio possibile, assicurandoci che fosse adatto a tutti i settori di attività e alle imprese di ogni dimensione». Il questionario copre attualmente 26 aspetti, che passano in rassegna i processi interni, l’esperienza cliente e la strategia relativa al modello d’affari. «L’abbiamo messo a dispo­sizione di un centinaio d’imprese a fine novembre», precisa soddisfatta Maria Sokhn. La raccolta dei dati è iniziata da poco.

Merlyde Berisha, informatica, e il suo capo Michel Perrin nella sede dell’azienda di software Uditis a Peseux (NE)
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Ottimizzare le prestazioni
In pochi clic, le imprese ottengono un punteggio globale e un voto per ciascuna delle dimensioni valutate. Lo scopo? «Accertare la situazione di partenza: in quali ambiti le prestazioni sono migliori? Dove ci sono lacune? A partire da questa presa di coscienza, si delinea un orizzonte da raggiungere», spiega Thierry Linder, socio e dirigente di uditis SA, una società specializzata nei sistemi informativi, che aggiunge: «Nella pratica, mi imbatto nella sindrome della pagina bianca – con il titolare paralizzato di fronte all’ampiezza del compito — oppure, al contrario, nell’effetto «fuoco d’artificio», in cui più progetti avviati simultaneamente diventano troppo pesanti da gestire. Il lancio di un ciclo di riflessione grazie a questo strumento si rivelerà estremamente efficace».

Il programma entrerà allora nella seconda fase, ovvero il cuore del Digital Arc Hub: accompagnare le imprese nell’attuazione della loro trasformazione digitale. Saranno per esempio organizzati servizi di coaching da affidare a professionisti esterni e conclusi partenariati con istituzioni universitarie per la ricerca e lo sviluppo di un’innovazione tecnologica. «Questa fase sarà adattata alle esigenze, ai mezzi e alle aspirazioni di ciascuno. Non bisogna dimenticare che stiamo parlando di processi di lunga durata. Non si tratta di una decisione che un’impresa prende una volta per tutte, ma di uno sforzo permanente», sottolinea Thierry Linder.

Srinagar Gunasekaram, primo utilizzatore del software sviluppato dal Digital Arc Hub, ella cucina del ristorante «Paprika» © regiosuisse

Cartografia settoriale e regionale
L’ultima parte del progetto Digital Arc Hub prenderà il via quando lo strumento di autodiagnosi avrà fornito i suoi primi dati. Una volta aggregati, questi serviranno infatti a realizzare una cartografia della maturità digitale a livello dell’Arco giurassiano: per settore, competenza, profilo d’impresa ecc. Florian Németi, direttore della Camera di commercio e dell’industria di Neuchâtel, si compiace dell’atout rappresentato da questo modulo di trattamento dei dati: «La possibilità di fare raffronti e di avere un’idea delle strategie intraprese dalla concorrenza rappresenta un grande vantaggio per le singole imprese e, in definitiva, per l’intera regione».

Il team di Digital Arc Hub aspira, a termine, a creare un osservatorio della maturità digitale. La cartografia consentirà in effetti alle associazioni economiche e ai decisori politici di visualizzare, tra l’altro, la ripartizione generale delle imprese, i settori maggiormente avanzati e la maturità digitale per regione. «Questo strumento indicherà loro le leve necessarie per l’implementazione di politiche pubbliche mirate: orientare i dirigenti delle organizzazioni impegnate su questo fronte, colmare lacune in fatto di formazione o anche istituire scambi di buone pratiche, al fine di generare resilienza per e con le imprese dell’Arco giurassiano», conclude Maxime Marteil.

La posta in gioco è considerevole. Le difficoltà in cui è caduto il commercio mondiale a seguito della crisi coronavirus pesano sull’economia dell’Arco giurassiano più che nel resto della Svizzera romanda. Il pil della regione è infatti strettamente legato a settori estremamente sensibili al contesto internazionale come quello della meccanica, degli strumenti di precisione e, naturalmente, dell’orologeria. «Molte imprese vivono alla giornata e nell’angoscia. Non hanno risorse sufficienti per pensare alla trasformazione digitale. Questi impulsi sono quindi essenziali. Il fatto di sapere di essere innovativi determina un effetto traino per la regione, senza dover necessariamente guardare alla Silicon Valley!», esclama Florian Németi. Lo slancio impresso dal Digital Arc Hub sarà ulteriormente rafforzato dal primo «Innovation Tour», un’iniziativa di networking tra i diversi poli di competenza della regione che prenderà il via nel 2021.

arcjurassien.chregiosuisse.ch/npr-itdigitalarchub.ch«Digital Arc Hub» nella banca dati dei progetti di regiosuisse.ch

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Coronavirus, prova di forza per le regioni

Pirmin Schilliger & Urs Steiger
L’emergenza Covid-19 ha scatenato una grave crisi globale che, lungi dall’essere alle nostre spalle, affligge tutti i settori economici e gli aspetti della vita, in primo luogo l’assistenza sanitaria. In Svizzera, a trovarsi in particolari difficoltà sono il comparto turistico e l’industria orologiera, che costituiscono la spina dorsale dell’economia di diverse regioni rurali e di montagna. Molte di queste sono confrontate a una dura prova dall’esito incerto.
© regiosuisse

Il lockdown imposto a metà marzo ha avuto ripercussioni traumatiche sul turismo. Nell’intera Svizzera, i pernottamenti sono crollati praticamente da un giorno all’altro: -62 per cento in marzo, -80 per cento in aprile e -78 per cento in maggio rispetto ai corrispondenti periodi dell’anno precedente. A giugno, a seguito dell’allentamento delle restrizioni, i dati sono leggermente migliorati e, pur facendo segnare ancora un -62 per cento rispetto al 2019, hanno ritrovato il livello del mese di marzo. A disertare in massa le destinazioni turistiche svizzere non sono stati solo gli ospiti stranieri, ma anche quelli residenti in Svizzera. In luglio e agosto, l’occupazione alberghiera ha dato segni di ripresa: secondo l’Ufficio federale di statistica (UST) nei due mesi estivi la variazione dei pernottamenti ha oscillato, in media, tra il -26 e il -28 per cento.

Vacanze (quasi obbligatoriamente) in Svizzera

Le differenze tra una regione e l’altra sono tuttavia considerevoli. Alcune hanno tratto vantaggio dal fatto che gli svizzeri hanno in genere rinunciato a recarsi all’estero e scelto di trascorrere le vacanze nelle località montane svizzere. In Val Poschiavo, ad esempio, gli alberghi hanno rapidamente annunciato il tutto esaurito. Nel mese di luglio, nel distretto di Surselva i pernottamenti sono aumentati del 40 per cento rispetto all’anno precedente, nella Bassa Engadina del 43 per cento e in Val Bregaglia addirittura del 53 per cento. In queste destinazioni la ripresa è proseguita per tutta la stagione estiva fino all’autunno. Tuttavia, anche nelle regioni che hanno fatto registrare un boom di presenze, non tutti hanno motivo di soddisfazione. «Penso soprattutto ai ristoratori, che durante il lockdown sono stati costretti a sospendere del tutto la propria attività e che in seguito, in ragione delle misure di protezione, hanno dovuto fare i conti con importanti restrizioni», spiega Martina Schlapbach, operatrice dello sviluppo regionale della Regiun Engiadina Bassa/Val Müstair.

Anche in Appenzello, Ticino e certe regioni del Giura, il numero di pernottamenti registrato in estate ha superato nettamente quello dello stesso periodo dell’anno precedente. Nella destinazione Saignelégier-Le Noirmont i pernottamenti sono quasi raddoppiati. Alcuni siti come la Vallemaggia o la Val Verzasca e la piscina di Porrentruy sono stati letteralmente presi d’assalto nei giorni di bel tempo. L’Appenzello ha faticato a tenere testa all’invasione di escursionisti provenienti da ogni angolo della Svizzera, che ha provocato situazioni sulle quali i media non hanno esitato a puntare il dito. Andreas Frey, responsabile di Appenzellerland Tourismus AR, relativizza e non vuole assolutamente sentir parlare di «overturismo»: «Nei giorni di picco abbiamo cercato di dirigere i gruppi di escursionisti verso percorsi meno battuti e penso che ci siamo riusciti».

Non possono lamentarsi nemmeno i locatori di appartamenti di vacanza. Le abitazioni in luoghi isolati sono state quelle maggiormente richieste. In ottobre, ad esempio, quando in altre regioni il picco estivo era ormai un lontano ricordo, sulla piattaforma di Grigioni Turismo, che propone circa 3000 oggetti in locazione in dieci diverse destinazioni, le prenotazioni risultavano superiori di oltre il 70 per cento rispetto all’anno precedente.

Nuvole scure all’orizzonte per il turismo urbano

In campo turistico, le grandi perdenti sono state senza dubbio le città. Gli ospiti internazionali hanno disertato i centri urbani e il turismo d’affari e congressuale ha subito una paralisi pressoché totale. Zurigo (-77%), Ginevra (-75%), Lucerna (-66%), Basilea (-63%) e Berna (-59%) sono state le destinazioni che nei mesi estivi hanno maggiormente perso in termini di pernottamenti. Dopo un lieve miglioramento nei primi giorni di autunno, in ottobre la situazione è tornata a farsi critica e grosse nuvole scure si sono nuovamente addensate all’orizzonte. Secondo un’indagine condotta da Hotelleriesuisse, due terzi degli alberghi dei centri urbani si apprestano a licenziare il loro personale e molti di quelli più grandi rischiano di fallire.

Oltre alle città, anche le regioni di montagna fortemente orientate al turismo internazionale, in particolare in provenienza dall’Asia, risentono fortemente della crisi. Tra queste figura ad esempio la destinazione Engelberg/Titlis. Nei mesi estivi, il fatturato delle Titlis Bergbahnen si è ridotto del 20-30 per cento rispetto all’anno precedente. Pur avendo immediatamente reagito con rigorose misure di riduzione dei costi, il direttore Norbert Patt è stato nel frattempo costretto ad annunciare un taglio di posti di lavoro. Anche la ferrovia della Jungfrau, i cui clienti provenivano per il 70 per cento dall’Asia, ha sofferto il crollo improvviso del turismo internazionale. I responsabili marketing della società hanno cercato di porre rapidamente rimedio alla situazione con iniziative come lo «Jungfrau Corona Pass», che consente di accedere in modo illimitato all’intera rete di trasporti della regione. Nel giro di pochissimo tempo, la proporzione si è invertita e il 95 per cento dei visitatori dello Jungfraujoch provengono ora dalla Svizzera. A differenza dei turisti asiatici, questi spendono però in media meno e la loro presenza è fortemente condizionata dalla meteo.

Tra le destinazioni e gli alberghi che se la sono cavata meglio nell’Oberland bernese vanno annoverati, come nella maggior parte delle regioni svizzere, quelli che puntano soprattutto al mercato interno o europeo. «Hanno tratto particolare beneficio i campeggi, come anche la sottoregione di Haslital-Brienz, tradizionalmente meno orientata al turismo internazionale», sottolinea Stefan Schweizer, direttore della Conferenza regionale Oberland Ost. Nonostante gli spiragli apertisi in estate, anche nell’Oberland bernese il bilancio turistico resta nel complesso negativo. Nella regione di Interlaken, una destinazione a vocazione principalmente internazionale, in luglio i pernottamenti si sono ad esempio dimezzati, malgrado un aumento del 192 per cento degli ospiti provenienti dalla Svizzera. Situazione analoga anche per altre località famose come Wengen, Davos nei Grigioni o diverse destinazioni in Vallese, prima fra tutte Zermatt.

Appenzell © regiosuisse

I brutti ricordi del Giura

L’industria orologiera sta al Giura come il turismo alla maggior parte delle regioni di montagna svizzere e, proprio come quest’ultimo, è stata duramente colpita dalla crisi provocata dal coronavirus. Nel secondo trimestre del 2020, il fatturato dell’industria orologiera si è ridotto del 35 per cento. Anche se nel terzo trimestre il settore ha dato segni di ripresa, la Federazione dell’industria orologiera svizzera prevede che l’esercizio si chiuderà con un calo compreso tra il 25 e il 30 per cento. Nei primi dieci mesi dell’anno, le esportazioni di orologi si sono contratte di oltre un terzo rispetto al 2019.

Nelle cosiddette «città orologiere» dell’Arco giurassiano, la situazione evoca brutti ricordi. Anche se, a seguito della crisi attraversata dal settore negli anni ‘70, città come Le Locle hanno diversificato la propria struttura economica, la dipendenza di molte località dall’industria orologiera resta marcata. Emblematico è il caso della Vallée de Joux: nella parte alta della valle, al confine con la Francia, vivono 7000 persone e vi sono 8000 posti di lavoro, legati in stragrande maggioranza all’orologeria. «La pandemia di coronavirus ci ha colpito duramente», si rammarica Eric Duruz, direttore dell’ADAEV (Association pour le Développement des Activités Economiques de la Vallée de Joux). Le fabbriche della regione hanno tempestivamente adottato misure di protezione per il personale, prima ancora che la Confederazione le rendesse obbligatorie, ma durante il lockdown la maggior parte di esse è stata costretta a chiudere per circa un mese e mezzo. Nella Vallée de Joux, anche dal punto di vista sanitario, la pandemia non è stata peraltro una semplice minaccia, ma ha provocato un numero di vittime superiore alla media. Le autorità ai diversi livelli hanno coordinato gli interventi nell’intento di garantire alla popolazione adeguata assistenza sanitaria anche nelle fasi più critiche del contagio. «Per la nostra economia e per l’assistenza sanitaria i frontalieri hanno un’importanza capitale», sottolinea Duruz. Di conseguenza è stato fondamentale che la frontiera con la Francia sia rimasta aperta per i lavoratori pendolari.

Malgrado la crisi sia lungi dall’essere del tutto superata, nella Vallée de Joux sta prendendo forma la speranza di evitare una situazione tragica come quella degli anni ‘70, quando più di un quarto degli abitanti furono costretti a lasciare la valle. «Da allora, abbiamo fatto il callo alle crisi e siamo molto più resilienti», ribadisce Duruz, dicendosi convinto che la regione uscirà addirittura rafforzata da questa prova «grazie alla capacità d’innovazione, alla solidarietà, a una buona dose di caparbietà e allo spirito battagliero della popolazione».

Un bilancio intermedio

Come si concluderà il 2020, l’anno segnato dal coronavirus? Quanto ci metterà l’economia a riprendersi? Già il 12 ottobre gli economisti della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno fatto una previsione da considerarsi attendibile, calcolando per l’anno in corso un calo del prodotto interno lordo del 3,8 per cento. Si tratta di una stima nettamente più ottimistica rispetto a quelle primaverili che, nel peggiore degli scenari, non escludevano un crollo fino al 10 per cento. Tuttavia, ammesso che la previsione di ottobre si realizzi, le ripercussioni della pandemia resterebbero molto gravi: un calo del PIL del 3,8 per cento costituirebbe la più pesante recessione dai tempi della crisi petrolifera di metà degli anni ‘70.

Effetti dell’emergenza Covid-19 sull’economia delle regioni
Nel quadro del monitoraggio delle regioni, regiosuisse osserva lo sviluppo economico regionale e segnatamente le ripercussioni della crisi provocata dal coronavirus. I risultati delle ultime analisi sono pubblicati sulla pagina web regiosuisse.ch/crisi-del-corona  

La seconda ondata, intervenuta nel frattempo, ha scompigliato le carte. In questo momento fare un bilancio è difficile e ogni previsione è rapidamente superata dall’evolversi della situazione. A fine ottobre, al momento della chiusura di questo numero, quattro quinti delle imprese attive nel turismo si attendevano un ulteriore peggioramento nella stagione invernale che, notoriamente, è di gran lunga più importante della stagione estiva soprattutto per le destinazioni sciistiche. Secondo Martin Nydegger, direttore di Svizzera Turismo, il settore deve prepararsi ad affrontare una lunga traversata del deserto: «Per una ripresa completa bisognerà attendere il 2023 o il 2024». Il responsabile della promozione turistica nazionale teme una situazione particolarmente «pesante» per le città, mentre abbozza un quadro leggermente più ottimistico per le regioni tradizionalmente orientate agli sport invernali. Monika Bandi Tanner, co-responsabile del Centro di ricerca sul turismo presso il Centro per lo sviluppo economico regionale dell’Università di Berna, sottolinea che ora molto dipende da come evolverà la situazione sul fronte della pandemia e da quali misure e piani di protezione saranno adottati per le zone sciistiche. Attualmente, a causa dei numerosi elementi di incertezza, è dunque estremamente difficile prevedere come terminerà l’anno turistico 2020.

© regiosuisse

Lavoro a distanza e ritiro in montagna

Ad accrescere la vulnerabilità di molte regioni non è stato solo il fatto di essere fortemente centrate su settori economici particolarmente colpiti dalla crisi, come il turismo o l’industria orologiera. Anche la dimensione delle imprese, a prescindere dal settore di appartenenza, ha svolto un ruolo in questo senso. Secondo un’indagine condotta dall’UBS, durante il lockdown hanno dovuto sospendere l’attività un’azienda su cinque tra quelle con meno di dieci addetti, una su dieci tra quelle da 10 a 49 addetti e «solo» il 3 per cento delle grandi aziende. Le ripercussioni sono state quindi particolarmente negative in Cantoni come Appenzello Interno, Grigioni e Vallese, nei quali l’incidenza delle piccole e delle micro imprese risulta elevata. Sulla base di diversi altri indicatori, l’UBS è giunta alla conclusione che, in generale, i Cantoni di montagna hanno sofferto maggiormente la crisi e che necessiteranno tempi di ripresa più lunghi.

La pandemia ha confermato che le crisi accelerano e rafforzano le tendenze in atto. Analizzando gli effetti dell’introduzione del lavoro a distanza, avvenuta un po’ ovunque, uno studio dell’Università di Basilea è giunto alla conclusione che tale trasformazione ha avuto maggiori ripercussioni sull’economia rurale che sull’economia dei centri urbani. Lo studio non prende però in considerazione il fatto che, durante il lockdown, una parte dei lavoratori ha lasciato le città per ritirarsi in località montane. Le abitazioni di vacanza si sono trasformate rapidamente in luoghi di lavoro, anche se non è chiaro quante delle circa 500 000 residenze secondarie siano state effettivamente utilizzate a questo scopo durante la prima ondata di Covid-19. «Quest’estate la nostra regione è stata piuttosto animata, non da ultimo in ragione delle molte persone che l’hanno scelta per lavorare a distanza», sottolinea Rudolf Büchi, operatore dello sviluppo regionale nella Regiun Surselva. Un indizio della loro presenza è rappresentato dal forte aumento dell’utilizzazione della rete e dei minuti di conversazione telefonica nella regione. «In quest’ottica, un’eccellente infrastruttura in fatto di banda larga e abitazioni di vacanza gestite in modo imprenditoriale, combinate a un’offerta di spazi di coworking, come ad esempio presso il Rocks Resort di Laax, rappresentano eccellenti condizioni per il lavoro a distanza e costituiscono gli atout del distretto di Surselva», ribadisce Büchi.

© regiosuisse

Anche se, dopo il lockdown, la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori a distanza sono tornati nei rispettivi luoghi di residenza in città, alcuni ci hanno preso gusto e si sono chiesti se il loro «rifugio» non possa diventare anche il loro luogo di lavoro abituale. Una riflessione perfettamente in linea con quella degli strateghi dello sviluppo, che vedono il futuro delle aree montane nell’economia residenziale, favorita da nuove forme di lavoro ibride e flessibili che consentono di coniugare vita privata e attività lavorativa lontano dai centri urbani (cfr. regioS 18).

In generale, gli attori NPR hanno dovuto imparare molto in poco tempo, ma l’organizzazione ha retto bene anche nei momenti più difficili.

La NPR in modalità di crisi

Come hanno reagito alla crisi provocata dal coronavirus i responsabili della NPR a livello regionale? Disponevano effettivamente di un margine di manovra? Stefan Schweizer mette in chiaro che il ruolo della NPR non è quello di mostrare un attivismo frenetico in situazioni straordinarie, gestendo interventi di crisi o addirittura aiuti di emergenza. Secondo il direttore della Conferenza regionale Oberland Ost, la politica regionale è orientata piuttosto al lungo periodo e il suo obiettivo è di accelerare e intensificare il cambiamento strutturale. Rudolf Büchi concorda: «Le nostre possibilità di intervenire direttamente per attutire gli effetti della crisi dovuta al coronavirus sono limitate». In effetti, nella maggior parte delle regioni svizzere si è rinunciato a lanciare progetti NPR volti a combattere la crisi.

Ciò non significa tuttavia che gli attori NPR siano rimasti con le mani in mano; anzi, al contrario: la regione Engiadina Bassa/Val Müstair, la Regiun Surselva nonché le regioni di Imboden e Viamala hanno ad esempio partecipato a un’iniziativa a livello cantonale che ha portato alla creazione di una piattaforma online per la commercializzazione dei prodotti regionali rimasti disponibili durante la crisi. «Questa piattaforma è stata e resta molto apprezzata. Stiamo ora valutando se è il caso di perennizzarla a prescindere dalla crisi in corso», spiega Martina Schlapbach, operatrice dello sviluppo regionale della Regiun Engiadina Bassa/Val Müstair. Piattaforme analoghe hanno visto la luce anche in molte altre regioni, come «mehr-uri.ch» nel Cantone di Uri, finanziata tramite la NPR, o «favj.ch/c19/» nella Valleé de Joux, per citare solo un paio di altri esempi.

Molte destinazioni turistiche – grazie in particolare all’aumento del budget di Svizzera Turismo – hanno lanciato in tempi brevi iniziative promozionali. Località e alberghi, che finora puntavano sui gruppi e sul turismo congressuale, si sono «riconvertite» al turismo individuale interno. Molti ristoratori hanno ampliato terrazze e plateatici, con le autorità che si sono mostrate decisamente più pragmatiche nel rilascio delle necessarie autorizzazioni, come sottolinea con soddisfazione Andreas Frey di Appenzellerland Tourismus AR. Sono state così rese possibili, ove necessario tramite supporti digitali, diverse prestazioni di servizi nel rispetto delle regole di distanziamento. In questa stessa ottica, a inizio maggio, il Cantone del Vallese e The Ark, una fondazione per la promozione economica, hanno lanciato l’iniziativa «Digitourism», alla quale hanno partecipato con le loro proposte una trentina di start-up. Una giuria ha selezionato in seguito otto progetti che sono stati realizzati con il sostegno di CimArk, l’antenna cantonale del RIS Svizzera occidentale (Sistemi regionali di innovazione). Il denominatore comune dei progetti è il rilancio del turismo vallesano con l’ausilio di soluzioni digitali. Un esempio: nel giro di poche settimane la start-up vallesana Guidos.bike ha sviluppato e lanciato sul mercato la guida turistica digitale e personalizzata «Guidos». Sostanzialmente si tratta di un GPS intelligente che viene montato sulla bici e accompagna l’utilizzatore lungo un itinerario personalizzato. Oltre cinquanta operatori outdoor, inclusa l’importante destinazione turistica di Verbier, hanno già adottato questo nuovo strumento.

La crisi quale opportunità

Nel mese di marzo, all’inizio del lockdown, i RIS hanno prontamente adeguato i loro programmi di coaching. Il RIS Mittelland ha attivato immediatamente un sito web sul quale sono state elencate le principali informazioni inerenti alle offerte di sostegno della Confederazione, del Cantone di Berna e di altre istituzioni. Nel giro di poco tempo, i RIS di tutte le altre regioni hanno seguito il suo esempio. I consulenti hanno convertito la loro offerta dal coaching dell’innovazione alla gestione di crisi. Hanno inoltre sostenuto alcune aziende, come ad esempio la Sensopro AG di Münsingen (BE), nei loro sforzi volti a sfruttare la crisi quale opportunità per ottimizzare i processi e realizzare progetti di trasformazione e innovazione. L’azienda, che da alcuni anni produce attrezzature per allenare la coordinazione senza carichi eccessivi sulle articolazioni, ha approfittato del periodo di tranquillità forzata dovuto alla crisi per sviluppare un nuovo prodotto che potrebbe essere lanciato sul mercato già quest’anno. Il progetto è stato portato avanti con il sostegno del coach RIS, Nicolas Perrenoud.

Durante la crisi, le prestazioni della NPR hanno aiutato molte aziende a superare la china. L’intervento decisivo, che ha consentito a molte di esse di evitare il peggio, è stato però quello del Consiglio federale, che ha predisposto uno speciale pacchetto di misure composto dalla concessione agevolata dell’indennità per lavoro ridotto, da indennità per perdita di guadagno e da crediti d’urgenza garantiti dalla Confederazione. Senza tale sostegno in molte regioni la situazione sarebbe decisamente più critica. In questo contesto, gli effetti delle misure NPR sono stati naturalmente solo complementari. Per alcuni promotori di progetti, tuttavia, la possibilità introdotta in tempi brevi di prorogare gli ammortamenti dei mutui NPR e di quelli assegnati in virtù della legge federale sull’aiuto agli investimenti nelle regioni montane (LIM), ha significato un aumento della liquidità e ridotto la pressione economica.

In considerazione delle molte persone che in questi tempi difficili non hanno lesinato energie a favore della NPR, è doveroso sottolineare come garantire semplicemente la continuità operativa dei progetti durante il lockdown sia stata una sfida enorme. Molti incontri, workshop e convegni si sono dovuti svolgere a distanza o sono stati annullati. Alcune iniziative sono state rinviate, dato che i canali digitali non si prestano a tutto. In generale, gli attori NPR hanno dovuto imparare molto in poco tempo, ma l’organizzazione ha retto bene anche nei momenti più difficili.

regiosuisse.ch/crisi-coronavirus-nprmehr-uri.chfavj.ch/c19/

Coronavirus, un acceleratore di innovazione

Auswirkungen der Corona-Krise auf Schweizer KMU, Sebastian Gurtner, Nadine Hietschold:BFH Wirtschaft, 2020 (in tedesco).

Editoriale

Fiona Spycher
Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE)

Béla Filep
Segreteria di Stato dell’economia (SECO)

Mentre la redazione lavorava a questo numero, il mondo ha subito una profonda trasformazione che ha tra l’altro impresso un’accelerazione agli sforzi – finora timidi – per rendere più flessibili le forme di lavoro. Da un giorno all’altro, centinaia di migliaia di dipendenti e migliaia di aziende hanno dovuto introdurre il lavoro agile (telelavoro), un’esperienza che senza dubbio avrà ricadute molto utili per l’organizzazione futura del mondo professionale. Tuttavia, la nuova situazione ha anche mostrato che, accanto alle infrastrutture tecniche, le condizioni quadro sociali sono decisive per determinare se il lavoro agile, decentrato e flessibile, sia un’alternativa interessante al lavoro in azienda. Trovano quindi conferma le conclusioni alle quali sono giunti i ricercatori, i consulenti e gli attori dello sviluppo regionale: le regioni possono cogliere le opportunità offerte dal lavoro flessibile solo se si impegnano a migliorare l’attrattiva del territorio. Anche i partecipanti alla nostra tavola rotonda (vedi pag. 18) concordano sul fatto che, oltre a una buona offerta di base, sono molto importanti le iniziative culturali e servizi come gli asili nido o l’assistenza per gli anziani. Per attirare nuovi abitanti, bisogna inoltre creare possibilità di lavoro per i coniugi o i partner.

Con questo numero, anche «regioS» compie un ulteriore passo verso la digitalizzazione. Da subito i contenuti della rivista saranno infatti disponibili singolarmente online all’indirizzo regioS.ch oltre che in formato pdf. Questo faciliterà la ricerca dei contenuti e consentirà una maggiore diffusione. Buona lettura!

© regiosuisse

Brain gain anche in montagna – grazie ai new highlander

Pirmin Schilliger

Malgrado lo spopolamento costante, nelle regioni di montagna svizzera si osserva anche il fenomeno opposto, ossia l’arrivo di cervelli (brain gain). Generalmente, le persone che dalla pianura si trasferiscono in montagna – chiamati anche new highlander – hanno un buon livello di formazione. Oltre a vantare solide competenze professionali, sono spesso disposte a impegnarsi nel tessuto sociale del nuovo comune di residenza. Cyril Peter, ingegnere biochimico originario di Aquisgrana (Germania), lavora da 14 anni a Visp per il gruppo chimico e farmaceutico Lonza, dove ricopre una funzione dirigenziale. Nel comune in cui abita, Zeneggen (VS), Cyril è impegnato in diverse associazioni e uffici pubblici. Martin Bienerth e Maria Meyer, entrambi di origine tedesca, hanno salvato dalla chiusura il caseificio di Andeer (GR). Il loro grande impegno, la loro comprovata competenza e la loro vasta es-perienza hanno ridato slancio all’attività. Quest’estate Christina Fenk e Damian Gschwend, insegnanti di scuola secondaria nell’entroterra lucernese, si trasferiranno a Blitzingen (VS), nel distretto di Goms. Insegneranno nella scuola secondaria di Fiesch (VS). Thomas Lampert, fabbro d’arte e metalcostruttore originario di Basilea Campagna, ha ridato vita alla fucina di paese di Guarda (GR) e la sta trasformando per valorizzarla dal punto di vista turistico. Il progetto prevede una fucina dimostrativa, uno spazio espositivo, un centro visitatori e un ristorante.

Questi quattro esempi mostrano come nuovi abitanti possono portare preziose esperienze e nuove idee nelle regioni di montagna e generare impulsi economici. «L’arrivo di nuovi abitanti rinnova la popolazione e rafforza il capitale umano», afferma la geografa Rahel Meili, che nella sua tesi di dottorato ha studiato questo fenomeno. «È inoltre evidente che con un piccolo sforzo in più, il potenziale economico rappresentato dai new highlander potrebbe essere sfruttato an-cora meglio, ad esempio creando una rete o adottando misure di reclutamento mirate».

Tesi di Rahel Meili: regiosuisse.ch/PhDMeili

La versione integrale in tedesco o francese

Altri articoli

«Serve un cambiamento culturale – nelle imprese e nella popolazione.»

Pirmin Schilliger & Urs Steiger

Quali opportunità si schiudono per le aree rurali e le regioni di montagna grazie alle nuove forme di lavoro flessibili? È il tema della videoconferenza alla quale hanno partecipato Rahel Meili, capoprogetto presso il Regions- und Wirtschaftszentrum Oberwallis AG, Peder Plaz, direttore del Wirtschaftsforum Graubünden e Daniel Studer, promotore e presidente della cooperativa che gestisce «Plattform Haslital».

L’importanza economica delle forme di lavoro flessibili è difficile da valutare, vista la mancanza di dati e di statistiche. Tuttavia, come ha sottolineato Peder Plaz, è indubbio che offrano alle regioni di montagna l’opportunità di attrarre nuovi abitanti, che possano trascorrere la propria vita lavorativa tra il luogo dove abitano e il centro urbano che ospita la sede dell’impresa.

La capacità delle regioni di sfruttare il potenziale offerto dal lavoro agile dipende da diversi fattori: per chi vuole davvero trasferirsi con la famiglia in aree di montagna, conta soprattutto la qualità della vita. Le aspettative sono una buona offerta di negozi e servizi, infrastrutture sociali come gli asili nido, opportunità di lavoro per entrambi i genitori e, non da ultimo, una vera cultura dell’accoglienza. I pensionati che decidono di trasferirsi stabilmente nella loro casa di vacanza considerano soprattutto l’aspetto fiscale. Per le persone che soggiornano temporaneamente in montagna e lavorano in coworking o da casa, l’offerta turistica – e a titolo complementare l’infrastruttura per il lavoro digitale – resta un fattore importante.

Insieme ai Comuni e alle aziende, gli operatori dello sviluppo regionale sono indubbiamente chiamati ad agire per cogliere la sfida della digitalizzazione. «Possiamo costruire le infrastrutture necessarie, ma senza un cambiamento culturale a livello economico i nostri sforzi resteranno vani», ha sottolineato Rahel Meili. Molto dipenderà probabilmente da come le forme di lavoro flessibili sapranno affermarsi dopo la situazione particolare legata alla crisi del coronavirus. I partecipanti alla discussione sono tuttavia concordi nell’affermare che il mondo del lavoro sta attraversando una fase di profonda trasformazione. Le aree rurali e montane potranno trarne vantaggio solo se riusciranno a raggiungere i gruppi target con offerte specifiche in linea con i bisogni e le esigenze.

La versione integrale in tedesco o francese

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Forme di lavoro flessibili, un’opportunità per le aree rurali?

Pirmin Schilliger & Urs Steiger
Il mondo del lavoro sta subendo un profondo cambiamento strutturale nel quale le forme di lavoro flessibili assumono un’importanza crescente. Queste nuove forme di lavoro, meno strutturate gerarchicamente, offrono grande autonomia, non sono vincolate a orari fissi o una data ubicazione e possono quindi essere praticate in modo decentrato. Il lockdown imposto da metà marzo a causa del coronavirus ha dato slancio a queste nuove forme organizzative, schiudendo opportunità di sviluppo economico per le aree rurali e periferiche. Per poter cogliere le opportunità, queste aree devono però dotarsi di un’infrastruttura efficiente con spazi di coworking, smart working e reti di comunicazione veloci, ma non solo. Devono anche aumentare la loro attrattiva territoriale come spazio abitativo e vitale migliorando l’offerta di prestazioni e servizi.
© regiosuisse

In Svizzera, molte aree rurali e periferiche crescono a un ritmo nettamente più lento di quelle urbane. Alcune sono confrontate da decenni alla perdita di posti di lavoro e allo spopolamento. Quest’erosione più o meno graduale può essere fermata. Ci sono riusciti soprattutto le grandi destinazioni turistiche alpine, i centri regionali delle maggiori valli alpine e le aree attorno alle sedi delle grandi aziende. In certi casi, si può invertire la spirale negativa migliorando i collegamenti di trasporto. Tuttavia, se è vero che una migliore accessibilità rende i comuni periferici più attrattivi come luogo di residenza per i pendolari, i lunghi tragitti casa-lavoro non sono una soluzione sostenibile a lungo termine.

Nei villaggi e nei comuni in cui l’emorragia non può essere fermata, l’offerta di servizi si assottiglia di pari passo: i servizi pubblici e privati (ufficio postale, scuola, negozi) non possono più essere gestiti in modo economicamente redditizio a causa delle dimensioni ristrette e della domanda limitata. Si innesca così una spirale negativa: mancando i servizi di base, diminuisce anche l’attrattiva come luogo di residenza. Se troppi abitanti lasciano il territorio, anche la vita sociale si ferma.

Questo circolo vizioso è noto ormai da decenni e rientra nelle tematiche centrali dello sviluppo regionale. Ciò non vuol dire che sia ormai una causa persa: grazie al sostegno fornito dalla Nuova politica regionale (NPR) vengono ad esempio lanciati regolarmente progetti e strategie di sviluppo per tentare di spezzare la dinamica.

Regioni di montagna, luoghi di vita e di lavoro (flessibile)

Di recente, le nuove forme di lavoro flessibile che si sono sviluppate sulla scia della digitalizzazione hanno fatto nascere nuove speranze negli attori dello sviluppo regionale e nei comuni interessati. Finora adottate soprattutto dalle grandi aziende dell’informatica e dei servizi localizzate nelle aree urbane, potrebbero diffondersi capillarmente ad altri comparti, aiutando anche le zone periferiche più colpite dal declino economico a ritrovare slancio. È quanto per lo meno sperano molti attori che operano nello sviluppo regionale a tutti i livelli. Sebbene non ci sia ancora la prova definitiva che questa ricetta dello sviluppo funzioni davvero, nelle scorse settimane e mesi la cultura del telelavoro (smart working) adottata da molte aziende a causa dell’emergenza coronavirus sembra aver innescato una nuova tendenza.

Poiché la digitalizzazione elimina gli ostacoli spaziali, temporali e materiali, la distanza tra le aree periferiche e i centri urbani non rappresenta più un problema. Grazie alle forme di lavoro flessibili, il mercato del lavoro decentrato può raggiungere anche gli angoli più remoti. Tutto appare improvvisamente molto semplice, almeno nei settori in cui si lavora soprattutto al computer. Vivere e lavorare nelle regioni di montagna diventa possibile. Ma per farlo servono reti digitali, contatti virtuali, possibilità di lavorare al proprio domicilio, spazi di coworking e piattaforme di produzione 3D.

1000 spazi di co-working

I numerosi spazi di coworking creati negli ultimi anni anche al di fuori dei centri urbani dimostrano che questo scenario è più di un pio desiderio. Secondo un’indagine condotta dalla Scuola universitaria professionale di Lucerna (HSLU), nelle aree rurali esistono già una cinquantina di spazi di questo tipo, che vengono utilizzati in modo flessibile da circa 2500 persone. Il numero può sembrare modesto, ma siamo ancora agli inizi.

Tra i promotori del coworking in Svizzera vi è la cooperativa VillageOffice, che ha già fornito supporto e consulenza per la creazione di quasi una quarantina di spazi di coworking nelle aree rurali, periferiche e alpine, otto dei quali nell’ambito di progetti NPR. Fabienne Stoll, responsabile della comunicazione di VillageOffice, si dice ottimista: «Oggi più di tre milioni di lavoratori potrebbero essere mobili, ma solo un milione usufruisce di questa opportunità e lavora occasionalmente da casa. Credo però che ci sarà una crescita importante, perché con la crisi coronavirus molte aziende e i loro collaboratori ne hanno capito i vantaggi». Stoll stima che a medio termine circa un terzo delle postazioni di lavoro tradizionali scomparirà ed è probabile che una parte significativa del lavoro venga svolta in comuni rurali o in regioni di montagna da postazioni esterne all’azienda usate temporaneamente. VillageOffice si prefigge di creare nei prossimi anni un migliaio di spazi di coworking nelle aree rurali di tutta la Svizzera, non da ultimo per motivi ecologici. Secondo i calcoli, questo potrebbe far risparmiare ogni anno 4,4 miliardi di chilometri ai pendolari e, di rimando, ridurre di decine di migliaia di tonnellate le emissioni di CO2.

Le previsioni del professor Timo Ohnmacht dell’HSLU sono un po’ più caute. Ohnmacht ha analizzato il fenomeno del coworking nell’ambito di uno studio finanziato dal Fondo nazionale per la ricerca scientifica (FNS). «Anche se ci sono storie di successo, gli spazi di coworking non offrono ancora benefici economici regionali misurabili», afferma. Secondo il professore, il «movimento» del coworking potrebbe presto allargarsi grazie agli spazi finanziati dagli enti pubblici, che fungendo da strumenti di sviluppo regionale innescano impulsi duraturi nelle aree rurali.

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Tutti gli spazi di coworking gestiti dalla comunità Voisins nell’agglomerato di Ginevra hanno un bar.

Devono anche aumentare la loro attrattiva territoriale come spazio abitativo e vitale migliorando l’offerta di prestazioni e servizi

L’attrattiva è maggiore dove i prezzi sono più accessibili

Gli spazi di coworking sono una specie di «punta di diamante» del lavoro flessibile nelle aree rurali. Tuttavia, in ottica economica conta di più il numero crescente di «pendolari part-time» che lavorano sempre più spesso e per periodi più lunghi da casa. L’attuale situazione del mercato immobiliare favorisce lo sviluppo di questa forma di organizzazione del lavoro. In un recente studio sul mercato immobiliare svizzero1, i ricercatori di Credit Suisse hanno esaminato la correlazione tra flussi pendolari e scelta del luogo di residenza e hanno individuato una tendenza a un trasferimento del luogo di residenza verso le aree rurali. Fredy Hasenmaile, responsabile Analisi immobiliare presso Credit Suisse, spiega: «Sempre più persone cercano casa dove è più conveniente piuttosto che nel luogo dove lavorano. Una volta trovata, tendono a restarci. Il luogo di residenza diventa una costante in uno stile di vita caratterizzato da cambiamenti di impiego sempre più frequenti e da un ambiente di lavoro in continua evoluzione». Secondo lo studio di Credit Suisse, se nella città di Zurigo un appartamento medio di 4,5 locali e 110 m2 costa più di 1,5 milioni di franchi, il prezzo scende a meno della metà in località che distano un’ora di treno.

Non c’è da stupirsi se sempre meno persone sono disposte a pagare prezzi elevati per un appartamento in città e preferirebbero vivere vicino alla natura, a condizione che ciò sia compatibile con la loro attività lavorativa. La situazione del mercato induce un numero crescente di pendolari (che rappresentano nove lavoratori su dieci in Svizzera) a trasferirsi in periferia. Secondo gli autori dello studio di Credit Suisse, questo favorirà ulteriormente lo sviluppo delle nuove forme di lavoro nelle aree rurali. Anche un’inchiesta condotta da gfs-zürich per conto della SECO2 giunge a conclusioni analoghe. A dimostrare il maggiore interesse per le nuove forme di lavoro sono i pendolari con un tragitto casa-lavoro di un’ora o più. Si tratta di un gruppo che è cresciuto molto negli ultimi mesi e che oggi rappresenta il 20 per cento dei pendolari. Quasi tutti i pendolari vorrebbero poter lavorare da casa per un giorno o più alla settimana.

Infrastrutture necessarie

Accanto ai nuovi bisogni abitativi, il potenziale di sviluppo delle forme di lavoro flessibili per le aree rurali e periferiche è indiscutibilmente grande. Per poterlo sfruttare, occorre prima di tutto assicurarsi che le aree interessate siano dotate delle necessarie infrastrutture.

  • Immobili: la disponibilità di immobili rappresenta probabilmente la sfida minore. Secondo VillageOffice, la domanda e l’offerta, ad esempio per gli spazi di coworking, sono attualmente in equilibrio. Inoltre, soprattutto nelle aree rurali vi sono edifici vuoti che possono essere convertiti e equipaggiati rapidamente a costi relativamente bassi. Senza dimenticare i molti lavoratori che si sono organizzati e hanno allestito una postazione di lavoro a casa.
  • Reti di telecomunicazione: rispetto ai Paesi limitrofi, la Svizzera dispone già di una rete relativamente buona di connessioni Internet ad alte prestazioni. Tuttavia, in molte località il divario infrastrutturale tra città e campagna si sta allargando3. Considerata la flessibilità delle forme di lavoro, l’esigenza di un accesso ottimale alla rete in tutte le regioni della Svizzera è comprensibile. Le opzioni per garantire alle regioni periferiche e ai centri turistici alpini connessioni di qualità analoga a quella dei centri urbani non mancano. Con il suo piano di promozione della banda ultra larga, il Cantone dei Grigioni sta ad esempio portando avanti il potenziamento dell’autostrada dei dati. La NPR cofinanzia il lavoro di concettualizzazione nell’ambito di progetti di sviluppo. Anche la tecnologia di telefonia mobile 5G rappresenta un’opportunità per le aree rurali e di montagna, anche se attualmente in molte località il suo potenziamento è bloccato da opposizioni e da questioni politiche.
  • Mobilità: la maggior parte dei nuovi lavoratori «agili» rimane pendolare a tempo parziale. Questi lavoratori vogliono poter essere liberi di suddividere il loro orario di lavoro tra casa/spazio di coworking e azienda (generalmente basata in un centro urbano). Questo presuppone una buona rete di viaria e di trasporto. Negli scorsi anni diversi progetti, la cui fase pianificatoria e concettuale è stata sostenuta anche nell’ambito della NPR, hanno contribuito a colmare le lacune su questo fronte. I progetti sviluppati e promossi nell’ambito di Interreg sono serviti soprattutto a migliorare il trasporto pubblico transfrontaliero nelle regioni di Basilea, Ginevra, Giura e Ticino. Inoltre, sono stati effettuati test pilota sull’uso intelligente di diversi mezzi di trasporto, comprese nuove forme di mobilità condivisa. Tuttavia, secondo i promotori dello sviluppo regionale questo non basta. Uno degli obiettivi della cooperativa VillageOffice è di provvedere affinché ogni persona in Svizzera possa raggiungere lo spazio di coworking più vicino entro 15 minuti in bicicletta o con i mezzi pubblici. Secondo Peder Plaz, direttore del Wirtschaftsforum Graubünden, la soluzione più efficace per permettere alle nuove forme di lavoro di affermarsi anche nelle zone rurali e di garantire l’occupazione decentrata del territorio, è probabilmente quello di fare in modo che in tutta la Svizzera le distanze per la mobilità pendolare siano ragionevoli.

Gestione e messa in rete degli spazi di co-working

Reto Bürgin, dottorando in geografia economica all’Università di Berna, ha studiato la nuova multilocalità digitale in relazione agli spazi di coworking nelle regioni alpine svizzere ricorrendo tra l’altro al geotracking. Secondo il ricercatore, gli spazi di lavoro condivisi, da soli, nella migliore delle ipotesi, contribuiscono a ridurre il traffico pendolare. Tuttavia, affinché possano fungere da motori di sviluppo e rivitalizzare una comunità sul piano sociale ed economico, occorre di più: questo fenomeno, ancora nuovo, dev’essere ancora interiorizzato e gli spazi devono essere gestiti in modo intensivo. Una buona offerta di spazi di lavoro con un’infrastruttura ottimale è quindi solo un punto di partenza. Affinché il potenziale di sviluppo delle aree rurali e periferiche possa dispiegarsi pienamente, è necessario che i lavoratori «agili» facciano rete e formino una comunità all’interno della quale possono sviluppare nuove idee, discutere dei loro problemi, creare nuovi progetti e, eventualmente, collaborare nell’ambito di nuove cooperazioni. «Lo scambio reciproco si traduce spesso in progetti innovativi, nuovi prodotti, servizi e modelli di business, fino a processi di ricerca e sviluppo al di fuori delle istituzioni tradizionali», spiega il professor Timo Ohnmacht (HSLU).

I gestori degli spazi di coworking possono fornire impulsi decisivi per creare una comunità. Secondo Ohnmacht l’esigenza di incontri comunitari informali, presentazioni introduttive, eventi di networking con imprenditori, seminari e eventi pubblici è effettiva. Gli spazi di coworking gestiti in modo diversificato possono diventare un interessante microcluster per la promozione della piazza economica locale. Questo è l’approccio che segue anche la NPR, come dimostra la dozzina di progetti sostenuti, tra cui il «Macherzentrum Lichtensteig SG» , lo spazio coworking Steckborn TG, il Mountain co-working Mia Engiadina a Scuol GR (vedi «regioS 14»), la piattaforma Haslital BE, la Working Station St-Imier BE e il progetto Interreg «GE-NetWork». Questi microcluster innescano effetti a monte e a valle: chi lavora da casa o da uno spazio di coworking contribuisce a rivitalizzare i villaggi e utilizza l’offerta di servizi locale – dai ristoranti ai negozi al dettaglio, dall’ufficio postale al parrucchiere, dalle strutture per il tempo libero ai piccoli artigiani. Questo, a sua volta, crea valore aggiunto a livello locale e contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro.

© regiosuisse

Spazi di coworking, alveo dello sviluppo dei villaggi

Jana Z’Rotz, economista presso dell’Istituto di economia aziendale e regionale dell’HSLU, si spinge oltre. Poiché dagli studi condotti emerge che nelle zone rurali è più difficile gestire spazi di coworking puramente orientati al lavoro, invita a creare spazi multifunzionali che forniscano anche servizi culturali, comunitari e sociali. Auspica luoghi utilizzati da persone di diverse generazioni e afferma che questi spazi dovrebbero servire tra l’altro anche da punto di incontro, atelier aperto al pubblico, sportello sociale e centro di consulenza con caffè e asilo nido. In breve, devono diventare l’alveo da cui si sviluppa la vita comunitaria.

La NPR può fornire esempi positivi in questo senso: il progetto Swiss Escape «co-Living/Co-Working Grimentz VS», il progetto di sviluppo partecipativo del villaggio Saint-Martin VS e la casa multigenerazionale «Generationehuus Schwarzenburg BE». Quest’ultimo progetto si trova in fase iniziale e, data la sua spiccata multifunzionalità, potrà fungere da modello per tutta la Svizzera. Il progetto prevede uno spazio di coworking con un atelier, due appartamenti per la condivisione multigenerazionale, un asilo nido, un ristorante e spazi per offerte di istituzioni sociali, consulenza in ambito sanitario e l’organizzazione di eventi. La Confederazione e il Cantone di Berna hanno sostenuto la progettazione con un contributo di 140 000 franchi nell’ambito della NPR. Nel frattempo, l’organizzazione promotrice, una società anonima senza scopo di lucro, ha raccolto 3,5 milioni di franchi (in gran parte donazioni private) per la realizzazione. La casa multigenerazionale, che sorgerà in una villa al centro del villaggio ristrutturata con grande attenzione e cura, sta diventando realtà. «Per ora l’offerta di spazi è limitata. Saremo pienamente operativi solo dopo che avremo realizzato e ci saremo trasferiti nella nuova ala prevista dal progetto», spiega la responsabile Linda Zwahlen Riesen.

Un fattore economico sottovalutato

È indubbio che il mondo del lavoro 4.0 aumenta il potenziale delle aree rurali e periferiche come spazio economico e abitativo. Di pari passo crescono le opportunità di migliorare l’offerta di servizi e mantenere il valore aggiunto generato sul posto. Finora, però, sono ancora pochi i comuni che hanno sfruttato queste opportunità in modo mirato. «Si impone con urgenza un’ampia discussione su come, nelle aree periferiche, la politica regionale possa prendere maggiormente in considerazione progetti volti a rafforzare l’attrattiva abitativa per combinare meglio le esigenze abitative e quelle lavorative», spiega Peder Plaz. «Serve un cambiamento di paradigma nella promozione della piazza economica e nella NPR dato che oggi ci si focalizza troppo sulla creazione di posti di lavoro sottovalutando l’importanza dell’attrattiva abitativa come fattore motivazionale ed economico».

Nei suoi studi sull’economia residenziale presenziale4 Olivier Crevoisier, professore di sociologia all’Università di Neuchâtel, fornisce importanti spunti di riflessione sull’orientamento da dare allo sviluppo. I risultati delle sue ricerche suggeriscono che la promozione di progetti NPR dovrebbe tenere maggiormente conto da un lato dell’attrattiva del luogo di residenza come fattore economico e motivazionale, dall’altro dei cicli economici locali. Quest’aspetto si riflette anche nelle misure pilota della NPR per le regioni di montagna 2020–20305, con le quali verranno sperimentati nuovi approcci per sostenere lo sviluppo economico delle regioni di montagna. Le esperienze raccolte serviranno a sviluppare la NPR a partire dal 2024.

regiosuisse.ch/npr-itvillageoffice.chgenerationehuus.chswissescape.co

1 Ciclo non concluso – ennesimo prolungamento per il mercato immobiliare svizzero

2 Inchiesta di gfs-zürich commissionata dalla SECO

3 Atlante della banda larga, Ufficio federale delle comunicazioni (UFCOM)

4 Crevoisier O., Segessemann A.: L’économie résidentielle en Suisse: identification et mise en perspective

5 Sviluppo economico delle regioni di montagna: strumenti e misure della Confederazione. Rapporto del Consiglio federale in adempimento del postulato 15.3228 Brand del 19 marzo 2015 (versione abbreviata)

Lichtensteig, un centro per l’imprenditoria

Lukas Denzler

Lichtensteig (SG) nel Toggenburgo è una piccola cittadina medievale con un passato che potrebbe quasi definirsi glorioso ma un presente difficile. L’industria tessile, un tempo pilastro dell’economia della valle, ha da tempo chiuso i battenti. La regione si sta spopolando. Le autorità locali hanno riconosciuto il problema e il rischio di cadere in una spirale negativa e insieme al centro di consulenza e competenza «Netzwerk Altstadt» di EspaceSuisse hanno analizzato della situazione. Su tale base, nel 2013 il Consiglio comunale ha elaborato di concerto con la popolazione la strategia «Mini.Stadt 2025», dalla quale è nato tra l’altro lo spazio di co-working Macherzentrum Toggenburg. Quest’offerta, che si trova nei locali dell’ex ufficio postale, si sta trasformando in una piattaforma per giovani imprenditori e lavoratori indipendenti della regione. Il co-fondatore Tobias Kobelt intende intensificare la collaborazione con le aziende, ad esempio proponendo loro di «sponsorizzare» postazioni di lavoro nello spazio di coworking e di metterle a disposizione giornalmente dei dipendenti.

A Lichtensteig il motto è «lokal starten – regional entwickeln» («partire locale – sviluppare regionale»). L’esempio del Macherzentrum Toggenburg sta facendo scuola, tanto che nella regione stanno nascendo offerte simili. Nell’ambito del label «Ort für Macher*innen» che può applicarsi a tutta una serie di attività, la Nuova politica regionale (NPR) sosterrà da quest’estate un progetto che si focalizza sulla carenza di manodopera anche qualificata e analizza i bisogni e le possibilità in workshop destinati alle aziende. Un altro progetto NPR si occupa dello sviluppo delle aree, in particolare per la riqualificazione e il riutilizzo delle fabbriche rimaste vuote. È inoltre in fase di progettazione un laboratorio artigianale e creativo che completerà lo spazio di coworking. Le iniziative locali, innescate principalmente dalla strategia comunale, stanno decollando e assumono sempre più risonanza regionale.

regiosuisse.ch/npr-itlichtensteig.ch/ministadt2025macherzentrum.chespacesuisse.ch

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