Le aree alpine sopra il limite della vegetazione arborea sono considerate ufficialmente improduttive. Eppure, cime, creste e pareti rocciose offrono possibilità sportive e di svago importanti ai fini turistici e sono molto ambite dagli alpinisti. Rita Christen, guida alpina e presidente dell’associazione svizzera di categoria (SBV/ASGM), spiega il fascino dell’alpinismo d’alta montagna.
Le aree alpine sopra il limite della vegetazione arborea sono considerate ufficialmente improduttive. Eppure, cime, creste e pareti rocciose offrono possibilità sportive e di svago importanti ai fini turistici e sono molto ambite dagli alpinisti. Rita Christen, guida alpina e presidente dell’associazione svizzera di categoria (SBV/ASGM), spiega il fascino dell’alpinismo d’alta montagna.
«Ho da sempre la passione per la montagna. Sono cresciuta a Urnäsch (AR) ai piedi del Säntis. Mio padre era il direttore delle funivie locali. Da bambini andavamo spesso in montagna con i nostri genitori ma le cime non hanno avuto subito un ruolo importante nella mia vita. Mi interessavano di più i paesaggi incontaminati. Da ragazza ho viaggiato molto. Ho attraversato l’Islanda in bicicletta e ho trascorso parecchio tempo in Alaska da sola. Sono arrivata all’alpinismo solo più tardi, quando ho conosciuto mio marito. Entrambi cercavamo nuove sfide. La professione di giurista da sola, a lungo andare, mi sembrava troppo noiosa, in più non ero riuscita a trovare il lavoro dei miei sogni nel servizio diplomatico o nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Così, insieme a mio marito, ho deciso di seguire la formazione per diventare guida alpina. Seppur con sentimenti contrastanti, 25 anni fa ci siamo trasferiti nella Surselva. Una valle che nel frattempo è diventata la mia casa a tutti gli effetti.
Ai miei clienti offro scalate o escursioni con le pelli di foca soprattutto nei Grigioni o nel Cantone di Uri. La mia meta preferita è il Salbitschijen nella Göschenertal. È una montagna che sa veramente conquistare il cuore degli alpinisti: pareti impegnative con diverse vie, granito rosso-oro, creste vertiginose e un panorama mozzafiato con cime di 3000 metri ricoperte dai ghiacci. Naturalmente nell’alpinismo conta soprattutto l’aspetto sportivo, ma anche il paesaggio ha la sua importanza. Il mix di bellezza, pericoli e rischi è adrenalinico. A questo si aggiunge l’emozione che solo la conquista di una cima ti regala, trasmettendoti un senso di vastità quasi spirituale che crea dipendenza. Comunque sia, non potrei rinunciarci a lungo.
Per motivi ecologici organizziamo le nostre escursioni private quasi esclusivamente nelle regioni più vicine. Visiteremmo volentieri regioni più lontane, ma i cambiamenti climatici sono troppo evidenti anche nelle nostre montagne. Di pareti tradizionalmente ghiacciate non sono rimasti che mucchi di materiale detritico, alcune vie non sono più praticabili, la messa in sicurezza dei passaggi è sempre più onerosa. Questi cambiamenti mi preoccupano molto. L’alpinismo come tale non lascia praticamente tracce nella natura se chi lo pratica si comporta correttamente. Tuttavia, l’impronta ecologica dell’alpinista può risultare più o meno importante, a seconda del mezzo di trasporto scelto per il viaggio e del materiale utilizzato. Nel nostro settore si discute molto dell’utilizzo dello spazio alpino. In qualità di presidente dell’Associazione delle guide alpine, mi impegno per trovare un compromesso adeguato tra utilizzo e protezione per consentire alle guide alpine di mantenere per quanto possibile il libero accesso alle montagne. Tutte le parti coinvolte sono concordi nell’affermare che nelle montagne non dovrebbero mai crearsi situazioni simili a quelle dell’Altipiano svizzero oggetto di uno sfruttamento eccessivo. Lì faccio perfino fatica a percepire il paesaggio. Riesco a respirare di nuovo liberamente solo quando torno in montagna».
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